Rapporti di lavoro

Under 24, nel colloquio con la GenZ al centro flessibilità e carriera

di Enrico Netti

Sono under 24, hanno un rapporto imbattibile con le nuove tecnologie, sono concreti e pragmatici verso il mondo del lavoro, schierano l’asset dell’impegno personale e puntano direttamente a un buono stipendio. Ecco alcuni tratti comuni dei circa tre milioni di giovanissimi, nati a cavallo tra gli ultimi anni del secondo millennio e i primi anni del terzo. È la Generazione Z, la prima full digital che si affaccia sul mondo del lavoro. Un rebus o quasi per i responsabili delle risorse umane che nei colloqui si trovano di fronte i soggetti di una generazione nuova e quasi sconosciuta. «Da tempo percezioni e segnali che arrivavano dal campo quando si affrontava il mondo dei giovanissimi e il loro approccio al lavoro erano scarsamente intelligibili - premette Maria Raffaella Caprioglio, presidente di Umana, che con il contributo scientifico di Istituto Toniolo e Valore D, ha promosso l’indagine ”Generazione Z: un nuovo approccio al mondo del lavoro” -. Tutti i paradigmi e le regole con loro valevano poco». Da qui la decisione di dare il via a una indagine approfondita per capire il loro mondo e con quali strumenti le aziende possono raggiungerli, valorizzarli e poi trattenerli in azienda.

«Nel loro pragmatismo la Gen Z aspira a un lavoro adeguatamente pagato - spiega presentando la ricerca Alessandro Rosina, coordinatore scientifico dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo e docente di demografia e statistica sociale della Cattolica di Milano -. Tra gli altri aspetti rilevanti lo vedono come un modo per affrontare il futuro, un contesto in cui autorealizzarsi e metterci il proprio impegno». I valori sono più elevati rispetto alle generazioni precedenti ma sul punto cruciale di valutare l’offerta di un posto lo cercano il più possibile affine alle loro passioni, interessi e che sia coerente con la formazione e le prospettive di carriera. «Elementi che in parte si declinano verso l’attenzione alla meritocrazia» precisa Rosina. Del lavoro desiderano gli aspetti positivi, come l’innovazione, e che permettono di esprimere la propria creatività, di viaggiare lasciando margini a sfide continue. Inoltre il lavoro deve permettere di cambiare spesso attività. Il tutto lasciando spazio alla vita privata e senza creare troppe complicazioni e cambiamenti. Con queste premesse per trovare il lavoro conta essere dinamici, con capacità di adattarsi «perché il mondo cambia rapidamente» e con competenze avanzate nel digitale, mentre il titolo di studio viene dopo. Il loro valore aggiunto è proprio negli asset digitali, nella creatività, nel pensiero analitico e nella conoscenza dell’inglese.

Al momento, nelle aziende, i millenials e la Gen Z sono poco numerosi ma i team delle risorse umane si stanno preparando. «Al momento del contatto con le aziende i giovani temporeggiano perché sanno di avere davanti a se diverse opzioni - segnala Ulrike Sauerwald di Valore D che insieme a Paola Castello ha realizzato per Umana la ricerca “Giovani nell’impresa: visione e percezione delle aziende sulla Gen Z” -. Sono attenti al welfare, agli orari di lavoro e lo chiedono fino dal primo colloquio insieme alla sostenibilità». Tra le soft skill che i giovanissimi portano in dote ci sono la capacità di lavorare in team, la motivazione, il desiderio di imparare e la relazione positiva con gli altri mentre sono in flessione la destrezza manuale, resistenza e precisione, le abilità verbali, uditive e mnemoniche. Entrando nel dettaglio delle digital skill aumentano la digital interaction, le technology applications e i big data. Per attrarre le nuove generazioni vengono varati programmi su misura come mentorship, formazione e job rotation.

Non mancano le testimonianze di due colossi come Ferrero e Capgemini che hanno presentato le esperienze maturate con le nuove leve. «In Ferrero sono stati varati percorsi di carriera a misura dei primi anni di vita lavorativa con un programma di esperienze che scardina il concetto delle promozioni - dice Annalisa Ghibaudo, HRBP sede commerciale di Ferrero Italia -. Per arrivare agli alti livelli si dovranno fare delle esperienze mirate come gestire la complessità del gruppo e gestire l’internazionalità». Un percorso attivato, per esempio, nel marketing, nelle vendite, produzione e finanza con sistemi di job rotation oltre all’offerta formativa personalizzata per i talenti. Dove la Gen Z è ben presente è in Capgemini Italia come racconta Alessandra Miata, HR director della società. «Tra junior millennials e Gen Z siamo al 27% della popolazione aziendale e con i millennials senior si arriva al 60% - spiega -. I ragazzi vogliono continuare ad imparare e si dà valore all’esperienza, alle competenze, è fondamentale». A fronte di un elevato turnover, intorno al 15% annuo, la sfida è trattenere i talenti perché queste generazioni se ne vanno via prima per passare in azienda anche dopo 12 o 24 mesi. «Il quadro che emerge dall’indagine è per noi fondamentale, perché ci consente di tracciare una rotta per capire il contesto che stiamo vivendo e mettere in moto quelle strategie necessarie alle aziende per crescere insieme a queste nuove leve» sottolinea la Presidente di Umana.

Ma chi sono questi giovani? Vivono always on, grandi utilizzatori dei social ma legati ai valori e alla quotidianità della vita reale. È quanto emerge dalla ricerca «Generazione Z: un futuro che guarda al passato» realizzata da AstraRicerche per il gruppo assicurativo Bnp Paribas che ha scandagliato l’universo di questi giovani. Non sorprende che lo smartphone sia irrinunciabile per tutti (87%) ma non rincorrono l’evoluzione tecnologica e uno su due lo sostituisce solo quando si rompe. Un posto di primo piano lo hanno le app dei social e quelle per i video, consumando film e serie tv, e la musica. Instagram e Whatsapp sono i social più usati quasi sempre per “comunicare” con le foto. Di questi nativi digitali solo meno di un terzo è molto attivo nella creazione di contenuti nuovi, personali o originali e solo il 20% si ritiene un creatore di contenuti originali.

Questa frenesia comunicativa poi rischia di rivelarsi un boomerang visto uno su due ammette di essersi pentito di avere pubblicato certi contenuti online. Poco più del 40% ha avuto, direttamente o indirettamente, una qualche esperienza con il cyberbullismo mentre solo un terzo è proattivo sui social. Nel campo dei consumi, sempre secondo la ricerca di AstraRicerche, grazie al fattore esperenziale i negozi fisici (al 40%) battono l’e-commerce (34%). Vengono soprattutto acquistati beni fisici rispetto ai servizi. Articolato il rapporto con il ruolo di influencer: uno su cinque ammette di farsi condizionare dagli influencer mentre il 40% si ritiene in grado di influenzare le scelte altrui.

Il mondo del lavoro nei colloqui con la Generazione Z

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