Rapporti di lavoro

Lo smart working cambia l’organizzazione del lavoro

di Matteo Prioschi


«Uno dei punti nevralgici dello smart working è il cambiamento di approccio nella gestione delle persone. Spesso mi chiedono come fare a monitorare il tempo di lavoro del dipendente in “modalità agile”. La risposta è che non lo si deve controllare, devi essere in grado di dargli degli obiettivi e su questi essere in grado di valutarlo. Su questo aspetto registro una certa difficoltà nel cambiare approccio da parte delle aziende». Così si è espresso ieri al Festival del lavoro il professor Maurizio Del Conte, uno dei padri della legge 81/2017 che, oltre a intervenire sul lavoro autonomo, ha fornito una cornice normativa al lavoro agile. Tuttavia la buona notizia è che lo smart working si usa sempre più «non solo per le motivazioni iniziali, cioè favorire la conciliazione dei tempi di lavoro e di vita privata e per risparmiare sui costi fisici delle postazioni di lavoro, ma perché oggi sta diventando un modo nuovo di organizzare il lavoro stesso».
E a questo riguardo Mario Morgese, head of industrial relation di Ducati motor holding spa, ha portato la testimonianza dell'applicazione che dello smart working viene fatta nella sua azienda dove, tanto per andare diretti sulla produttività, ci si aspetta che la prestazione resa dal dipendente fuori dall'impresa sia almeno pari a quella raggiunta all'interno. Il responsabile della gestione del personale ha però raccomandato di non sottovalutare l'impatto che lo smart working ha sui manager. In Ducati non è stata fatta formazione per queste persone, constatando poi sul campo che la nuova modalità di svolgimento del lavoro può mettere in crisi chi è abituato a gestire i collaboratori secondo modalità “standard” e deve passare alla valorizzazione degli obiettivi e dei risultati piuttosto che il controllo passo dopo passo.
Dal punto di vista più strettamente normativo, è stato sottolineato che a fronte di un quadro regolamentare “snello” delineato dalla legge 81/2017, è poi l'accordo individuale (ed eventualmente quello collettivo) a definire le modalità di svolgimento dell'attività fuori dall'azienda. Nonché, ha ricordato Paolo Pizzuti, professore associato di diritto del Lavoro all'università degli studi del Molise, le modalità di attuazione del potere direttivo e di controllo e quello disciplinare, che non perdono la natura datoriale ma vanno coordinati tra le parti e comunque senza peggiorare le indicazioni eventualmente contenute in un accordo o nel contratto collettivo e, in assenza di indicazioni, si applicano le regole generali.
Così come va individuato il luogo o i luoghi in cui svolgere il “lavoro agile” perché, se ad esempio si verifica un infortunio in un luogo non previsto dall'accordo, la responsabilità del lavoratore cambia. Infine, ha chiuso Del Conte, «l'accordo di smart working va ritagliato su misura dell'azienda: non è immaginabile un protocollo standard perché ogni impresa a esigenze differenti, e all'interno della medesima le stesse cambiano in base all'attività da svolgere».

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