Rapporti di lavoro

L’aiuto dei familiari non è sempre gratuito

di Antonio Carlo Scacco

Stabilire quando la collaborazione dei familiari in azienda è occasionale (quindi non soggetta agli obblighi di un rapporto lavorativo, a partire dai contributi) o richiede di essere formalizzata con un contratto di lavoro subordinato, può essere rilevante, soprattutto per le prestazioni rese nell’ambito di attività stagionali a più alta intensità di lavoro in determinati periodi dell’anno, come quelle legate al turismo.

L’interrogativo riguarda i titolari di imprese a conduzione familiare ma anche gli amministratori e i soci di società. Le problematiche sul lavoro prestato dai familiari dell’imprenditore in azienda nascono spesso in sede ispettiva, quando si pone l’esigenza di configurare la tipologia del lavoro prestato, con la conseguente attribuzione dei diritti-obblighi nascenti dal rapporto lavorativo riqualificato (si veda, da ultimo, la circolare dell’Ispettorato nazionale del Lavoro n. 50 del 15 marzo 2018).

I romani avevano concepito a questo proposito la figura della prestazione resa affectionis vel benevolentiae causa, ossia motivata da principi differenti dal tradizionale scambio lavoro-retribuzione e, pertanto, resa a titolo gratuito. Il principio è tutt’altro che superato e costituisce a oggi l’orientamento consolidato della giurisprudenza di merito e legittimità (si veda, ad esempio, la sentenza della Corte d’appello di Brescia del 17 aprile 2019 o la sentenza della cassazione 30899/2018). La conseguenza principale è che, per superare questa presunzione, chi contesta la gratuità della prestazione resa dal familiare o affine deve fornire prova rigorosa degli elementi tipici che giustificano l’esistenza di un rapporto subordinato.

La prova rigorosa richiesta per superare la presunzione di gratuità si riferisce all’ipotesi del familiare che intenda far valere la subordinazione nei confronti del proprio congiunto, rispetto al quale ha reso determinate prestazioni lavorative in assenza di contrattualizzazione (ipotesi non infrequente). Se, viceversa, il congiunto ha regolarizzato il lavoro dei familiari (effettuando le necessarie comunicazioni amministrative, i versamenti fiscali e contributivi, rilasciando le busta paga e così via), l’onere di dimostrare la inesistenza del lavoro subordinato e la riqualificazione del rapporto, con conseguente iscrizione alla gestione artigiani/commercianti, spetta all’organo ispettivo (articolo 2697 del Codice civile).

Ma quali sono gli elementi che permettono di superare la presunzione di gratuità? La mancata convivenza sotto uno stesso tetto, ad esempio, opera a favore del rapporto lavorativo a titolo oneroso. In una situazione di convivenza more uxorio la presunzione di gratuità opera secondo criteri che devono tuttavia essere provati con maggiore rigore «richiedendosi che la stessa sia caratterizzata da una comunanza spirituale ed economica analoga a quella inerente al rapporto coniugale» (Corte d’appello di Milano, sentenza del 13 dicembre 2004).

È molto rilevante anche la natura dell’impresa. Come riconosciuto dall’Inps, nelle società di capitali (ad esempio Srl) la dimostrazione di un rapporto di lavoro subordinato in presenza di legami di parentela o affinità (ad esempio la moglie o il figlio dell’amministratore unico) è più agevole. Infatti il rapporto è instaurato con la società (nettamente distinta dalle persone dei soci, in quanto persona giuridica). Resta fermo che, in tutti i casi in cui si affermi l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, ne dovranno essere dimostrati gli elementi caratterizzanti (in primo luogo l’assoggettamento al potere direttivo e organizzativo altrui e l’onerosità). Nell’ordinanza 4535 del 27 febbraio 2018, la Cassazione ha richiamato, quali elementi presuntivi del rapporto di lavoro subordinato:
la presenza costante del familiare sul luogo di lavoro;
l’osservanza di un orario coincidente con l’apertura al pubblico dell’attività commerciale tale da prefigurare, piuttosto che una partecipazione all’attività dettata da motivi di assistenza familiare, il programmatico valersi da parte del titolare del lavoratore;
la corresponsione di un compenso a cadenze fisse, anch’essa maggiormente compatibile con la logica del corrispettivo della prestazione.

Ma quali sono le conseguenze di un eventuale disconoscimento del rapporto? Prescindendo dalle possibili problematiche di natura civilistica e societaria, in genere il disconoscimento del rapporto di lavoro subordinato comporta l’annullamento della relativa posizione contributiva con la restituzione dei contributi versati, più gli interessi maturati al netto degli eventuali assegni familiari percepiti. Eventuali trattamenti pensionistici in corso saranno annullati, con recupero delle prestazioni già erogate.

La riqualificazione del rapporto (ad esempio come coadiutore, si veda l’altro articolo in pagina) comporterà il recupero della relativa contribuzione. L’impresa o la società, a loro volta, non potranno dedurre gli stipendi corrisposti al familiare-dipendente.

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