Rapporti di lavoro

Licenziamenti con regole complesse e tutele diverse

di Giampiero Falasca

L'ordinanza con cui il Tribunale di Milano ha chiesto alla Corte di giustizia europea di pronunciarsi sulla compatibilità con il diritto comunitario del regime delle tutele crescenti ha riaperto l'eterno cantiere sui licenziamenti (si veda il Sole 24 Ore del 21 agosto).
Un cantiere che, nella ricerca incessante di un punto di equilibrio tra la necessità di garantite tutele adeguate ai lavoratori e costruire sanzioni efficaci ed esigibili, ha prodotto una grande confusione applicativa; confusione che potrebbe ulteriormente aumentare qualora la Corte di giustizia decidesse di modificare, anche solo parzialmente, i criteri applicativi del Dlgs 23/2015.

Per confermare questo assunto, è sufficiente ricordare quali e quanti diversi sistemi normativi, diversi (anche solo parzialmente) si applicano oggi in tema di licenziamenti. C'è la grande spaccatura tra “vecchi assunti” (contratto a tempo indeterminato sottoscritto prima del 7 marzo 2015), che rimangono soggetti alla disciplina dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e i “nuovi assunti” (a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015 in poi), che rientrano nel campo di applicazione delle tutele crescenti.

All'interno di ciascuno di questi grandi insiemi, c'è l'ulteriore segmentazione – del tutto ragionevole, peraltro - tra grandi imprese (con organico superiore a 15 dipendenti per unità produttiva oppure sopra a 60 su base nazionale) e piccole imprese.
Altra differenza si presenta per i dirigenti, rispetto ai quali non trovano applicazione le norme sulla reintegrazione sul posto di lavoro ma vige solo una tutela economica, i cui contenuti cambiano in maniera significativa secondo il contratto collettivo nazionale applicato.

Regole parzialmente diverse tra vecchi e nuovi assunti valgono anche per i licenziamenti collettivi, come rilevato, in chiave critica, dall'ordinanza del tribunale di Milano, e per i licenziamenti intimati per motivi discriminatori.

Non va, poi, dimenticato che per il pubblico impiego resiste un regime speciale: si applica solo l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, seppure in forma parzialmente corretta. E ci sono, infine, tanti “micro-sistemi” di regole applicabili per casi specifici.

Ciascuno di questi regimi porta con sé un carico di questioni applicative molto rilevante, e ciascuno di loro si caratterizza per il grande margine di discrezionalità che viene lasciato al giudice. Discrezionalità che sembra impossibile da eliminare dal nostro ordinamento: basti ricordare l'esito comune delle norme (sono state annullate dalla Corte costituzionale) che hanno tentato di introdurre meccanismi automatici in tema di rimborso delle spese legali e quantificazione dell'indennizzo dovuto in caso di licenziamento invalido.

Un sistema, quindi, caratterizzato da tanti regimi sanzionatori, accomunati da un alto grado di complessità applicativa e un altrettanto rilevante spazio di discrezionalità del giudice: un sistema che non può essere facilmente compreso, gestito e applicato senza un supporto specialistico, facendo aumentare il “costo” occulto di qualsiasi procedura di licenziamento, ma non genera un livello di tutela omogeneo tra i lavoratori, in quanto questi ricevono un livello più o meno intenso di tutela secondo il “gruppo” di appartenenza, l'orientamento del giudice o la bravura del legale che li assiste.

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