Rapporti di lavoro

Giuslavoristi alla sfida dell’intelligenza artificiale

di Dario Aquaro e Valentina Melis

Sfruttare la tecnologia, per lasciare alle macchine il lavoro più rutinario e concentrarsi sulle consulenze a maggior valore aggiunto, anziché concepirla come una minaccia. Con l’avvertenza, soprattutto per gli studi più piccoli, che bisogna restare al passo con i tempi, per non essere “sostituiti” dall’automazione.

È una delle sfide sulle quali si confronteranno questa settimana a Verona gli avvocati giuslavoristi italiani, al convegno della loro associazione nazionale (Agi), da giovedì a sabato. Il titolo è «I tempi e i luoghi del lavoro»: la riflessione su come sono cambiati orari e spazi delle prestazioni si intreccerà con quella sui cambiamenti in corso nelle aziende e sul futuro degli avvocati del lavoro, che più di altri, fra i legali, vivono a stretto contatto con i clienti, siano datori o lavoratori. Gli iscritti all’Agi sono 2mila.

Posto che con l’uso dell’intelligenza artificiale si possono scandagliare migliaia di documenti e sentenze, eliminando ore di lavoro dello studio (finora fatturate al cliente), quale è l’attività ad alto valore aggiunto che resta al giuslavorista? «È ciò che le macchine non possono fare - spiega il presidente dell’Agi Aldo Bottini - ovvero il lavoro di un professionista specializzato, che può aiutare a elaborare una strategia “su misura”, sia sul fronte della consulenza, sia nella gestione del contenzioso. Le liti sui contratti a termine in un’azienda, ad esempio, possono essere prevenute con una gestione corretta e programmata degli stessi contratti».

L’innovazione dello studio è strettamente legata alla capacità di investire: in questo le grandi law firm partono avvantaggiate, perché capaci di ottimizzare gli investimenti a livello di gruppo. «Ad aiutare i professionisti in questa fase - osserva ancora Bottini - potrebbero essere gli Ordini, acquistando programmi e software da mettere a disposizione degli associati».

La specializzazione dei giuslavoristi è una “protezione” nei confronti di una rivoluzione tecnologica che può cambiare di molto il lavoro negli studi: ne è convinto anche Andrea Stanchi, componente dell’assemblea dell’Organismo congressuale forense. «La tecnologia - spiega - può consentire di avere uno studio contenuto come dimensioni ma in grado di fornire servizi ad alta specializzazione. L’avvocato di domani - aggiunge - dovrà essere esperto di diritto ma anche ottimo conoscitore delle tecnologie, dei principi di organizzazione e della filosofia della comunicazione. È essenziale - conclude - che anche la riforma del processo civile sia strutturata ripensando in digitale sia l’infrastruttura, sia le regole».

Le esperienze attuali

Nella ricerca dei precedenti di giurisprudenza (e non solo) ci sono studi italiani che lavorano già con un alto grado di automazione. Uno di questi è Toffoletto De Luca Tamajo, che nel 2019 è stato nominato per il terzo anno dal Financial Times tra le 50 «most innovative law firm». «La nostra crescita - commenta il managing partner Franco Toffoletto - è dovuta anche agli investimenti in tecnologia realizzati fin dagli anni 80». L’innovazione dello studio emerge a più livelli. Con il software gestionale interno Elibra, sviluppato dal 2015 per organizzare le pratiche giudiziali e non, anche sul fronte dei costi. Con i sistemi di intelligenza artificiale che mettono rapidamente a disposizione precedenti atti, pareri e anche articoli di giornale. Con i sistemi, implementati fin dal 2005, per redigere in maniera automatizzata contratti e altri documenti. «Su questi testi - continua Toffoletto - serve un controllo di qualità dell’avvocato: ma i sistemi di machine learning sono sempre più precisi. Alcuni anni fa abbiamo creato il dipartimento di Ricerca & Sviluppo, dove tutti sono coinvolti. Certo bisogna avere la capacità finanziaria per investire. Ma chi non lo fa - conclude - resta indietro».

“Transform” si chiama invece il progetto di Norton Rose Fulbright, per favorire la trasformazione tecnologica. Un progetto rivolto sia all’interno (per ridurre i tempi delle attività ripetibili), sia all’esterno, per offrire prodotti di informazione ai clienti, basati su particolari software. Come spiega il managing partner Attilio Pavone, «occorre essere competitivi a più dimensioni. È vero che da parte delle aziende c’è più pressione sul pricing. Ma chi si occupa di diritto del lavoro è uno specialista, e dunque - continua - il costo non è l’unico parametro al quale guardano i clienti. Peraltro - continua - quello del giuslavorista, specie in Italia, è un campo dove le leggi cambiano ogni anno, e in cui bisogna saper usare in modo “creativo” anche la tecnologia».

La spinta all’aggregazione

I più “piccoli” si organizzano per fare rete. Ad esempio Lexellent, boutique specializzata in diritto del lavoro, è parte di un network con altri studi esteri (13 in Europa e uno in Cina), basato su una piattaforma tecnologica di condivisione e confronto. «Una sorta di gestionale internazionale - lo definisce la managing partner Giulietta Bergamaschi - usato sia per aspetti tecnici, sia amministrativi. Inoltre - aggiunge - stiamo pensando di aggregare intorno a progetti di intelligenza artificiale altre realtà come la nostra, creare sinergie con altri studi per acquistare prodotti sul mercato e accogliere risorse con competenze tecnologiche».

Fare rete è la ricetta seguita anche da Legalilavoro, una federazione di nove studi legali che tutelano i lavoratori. «Abbiamo una banca dati - spiega da Messina Aurora Notarianni, uno dei legali del network, che è anche vicepresidente dell’Agi - nella quale mettiamo in comune la documentazione di tutti gli studi. E comunque - precisa - la conoscenza diretta del cliente resta fondamentale».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©