Rapporti di lavoro

Il contratto di espansione: una carta da giocare per il ricambio generazionale

di Attilio Pavone e Giorgio Manca

Non sempre i tradizionali accordi di risoluzione consensuale incentivata sono il migliore strumento per favorire il ricambio generazionale nelle imprese.
Accade, infatti, che molti lavoratori, pur con una elevata anzianità aziendale, rifiutino questi accordi a fronte dell’impossibilità di un immediato accesso al trattamento pensionistico. È un caso piuttosto frequente, tenuto conto delle soglie vigenti per accedere alla pensione di vecchiaia.
Uno degli interventi normativi più interessanti per affrontare questa problematica è certamente quello della “isopensione”, istituto introdotto dall’articolo 4 della legge 92 del 2012 (la legge «Fornero»).
Questo strumento consente al lavoratore di accedere, dopo la cessazione del rapporto di lavoro, a un trattamento pensionistico anticipato corrisposto dall’Inps ma finanziato dal datore di lavoro.
Con l’isopensione, infatti, il datore di lavoro si obbliga a corrispondere all’Inps, per una durata da stabilire nell’ambito di un accordo (fino a un massimo di 48 mesi, ma prolungabile sino a 84 mesi per gli accordi siglati entro la fine del 2020), la provvista per il trattamento di isopensione e la relativa contribuzione figurativa (con una maggiorazione cautelativa del 15%).
Contestualmente al pagamento della prestazione (che viene garantita da un’apposita fideiussione bancaria rilasciata al datore di lavoro), l’Inps provvede al accredito della relativa contribuzione figurativa. La retribuzione media mensile sulla quale devono essere commisurati i contributivi figurativi è determinata dalla retribuzione imponibile, ai fini previdenziali, degli ultimi 4 anni, divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per 4,33.
Presupposto essenziale per l’isopensione è la sottoscrizione di un accordo sindacale, anche eventualmente nell’ambito della procedura di licenziamento collettivo, nel quale si preveda un sistema di candidatura spontanea del lavoratore alla verifica con l’Inps dei requisiti di accesso alla pensione.
L’istituto ha tuttavia avuto poca fortuna nella prassi per ragioni strettamente connesse al costo del relativo finanziamento (con l’unica eccezione dei settori in cui sono attivi i fondi di solidarietà bilaterale, che hanno persino finanziato “scivoli” a Quota 100).
Più appetibile per le imprese appare invece il “contratto di espansione”, introdotto, in via sperimentale per il 2019 e il 2020, dal decreto crescita (Dl 34/2019).
Il contratto di espansione, la cui durata massima è di 60 mesi, inclusivi dell’eventuale finestra per una pensione anticipata, è dedicato ai processi di reindustrializzazione e riorganizzazione delle imprese con un organico superiore a 1.000 unità lavorative che comportino una strutturale modifica dei processi aziendali, anche finalizzata alla modifica delle competenze professionali in organico mediante un loro più razionale impiego o l’assunzione di nuove professionalità.
Anche il contratto di espansione presuppone un accordo con le organizzazioni sindacali, cui si aggiunge anche l’esigenza di coinvolgimento del ministero del Lavoro.
È un contratto a natura gestionale, che deve contenere il numero di lavoratori da assumere, la programmazione temporale delle assunzioni, l’indicazione della durata a tempo indeterminato dei contratti di lavoro e il numero di lavoratori che possono accedere al regime agevolato di accesso alla pensione di vecchiaia o anticipata.
Anche per il contratto di espansione è, infatti, previsto un regime agevolato di accesso alla pensione di vecchiaia o anticipata per i lavoratori che non si trovino a più di 5 anni dal conseguimento del diritto alla pensione.
Previo esplicito consenso degli interessati, il datore di lavoro riconosce, a fronte della risoluzione del rapporto e sino al raggiungimento delle pensione, un’indennità mensile, comprensiva dell’indennità Naspi (istituto invece incompatibile con l’isopensione) ove spettante, commisurata al trattamento pensionistico lordo maturato dal lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro, così come determinato dall’Inps. La prestazione può essere riconosciuta anche tramite i fondi di solidarietà bilaterali e non deve essere garantita da una fideiussione.
Si tratta quindi di un istituto meno gravoso per l’impresa e che si auspica possa essere esteso a una platea più ampia di potenziali beneficiari.

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