Rapporti di lavoro

I laureati stranieri bussano in Italia per entrare negli Albi

di Antonello Cherchi

Ci sono poco più di 1.300 professionisti stranieri che negli ultimi cinque anni hanno chiesto di lavorare qui in Italia. E non per un impiego temporaneo, ma in pianta stabile, con tanto di iscrizione ai relativi Albi di categoria. Ad averlo voluto fare sono stati soprattutto avvocati, seguiti da ingegneri e commercialisti. Nel primo caso le richieste arrivate nel quinquennio al ministero della Giustizia sono state - tra professionisti comunitari ed extra - 564, 354 quelle degli ingegneri e 105 dei commercialisti. Numeri contenuti , ma che danno comunque l’idea dell’attuazione dei principi di libera prestazione e stabilimento delle professioni regolamentate introdotti dapprima all’interno della Ue e poi estesi dall’Italia a chi proviene da Paesi extra-Ue. Nell’Unione c’è chi fa meglio di noi, anche se il monitoraggio della Commissione Ue - si veda l’articolo a fianco - si concentra su un quadro più ampio di quello disegnato dai dati della Giustizia: sono, per esempio, considerati medici e infermieri, il cui riconoscimento è compito del ministero della Salute, che dal 2018 decide anche su biologi e chimici.

La procedura

Il professionista, comunitario o extra-Ue, che intenda trasferirsi in Italia deve presentare al ministero della Giustizia la richiesta di riconoscimento del proprio titolo di studio conseguito all’estero o di un’esperienza professionale. I dati ministeriali dicono che negli ultimi cinque anni sono state complessivamente 1.338 le persone che hanno iniziato quell’iter e 16 gli Albi interessati (si veda la tabella a fianco).

A vagliare le domande è una conferenza di servizi istituita presso la Giustizia, che valuta se il titolo del candidato o l’esperienza professionale maturata gli consentono di svolgere la professione in Italia. In caso contrario, vengono indicati gli esami compensativi da sostenere. «Per esempio - spiega Alessandro Solidoro, consigliere nazionale del’Ordine dei commercialisti delegato all’attività internazionale - spesso i laureati in altri Paesi non possiedono una formazione in diritto fallimentare, concorsuale o tributario, mentre da noi sono materie caratterizzanti il percorso di studi. E quindi chi intende fare il commercialista in Italia deve sostenere esami integrativi». A fine istruttoria, la conferenza di servizi emette il decreto di riconoscimento, che non ha scadenza anche nel caso l’iscrizione all’Albo - e, dunque, l’inizio della professione - venga subordinata al superamento di esami integrativi. In questo caso, interviene il Consiglio nazionale dell’Ordine a cui il candidato vuole iscriversi, che su domanda dell’interessato predispone le prove.

Le scorciatoie

Fra gli oltre 500 avvocati stranieri che hanno chiesto nell’ultimo quinquennio di venire in Italia non c’è da escludere ci sia una quota di professionisti che si sono serviti del sistema per aggirare l’esame di Stato. Fenomeno nato con gli abogados spagnoli e poi trasferitosi in Romania. Di fondo, il meccanismo è lo stesso: laureati in giurisprudenza in Italia che chiedevano il riconoscimento del titolo in Spagna, lo ottenevano e si iscrivevano all’Albo degli avvocati spagnoli - dove non era previsto l’esame di Stato - per poi iniziare la trafila del riconoscimento qui da noi ricorrendo alla procedura illustrata sopra o a quella prevista dal diritto di stabilimento. In entrambi i casi, si evitava l’esame di Stato.

Se si guarda il dettaglio della serie storica, si scopre che nel 2015 sono arrivate al ministero della Giustizia 220 richieste di avvocati Ue, poi calate vertiginosamente negli anni successivi: 72 nel 2016, 26 nel 2017, 24 nel 2018, 23 nel 2019. Non è, dunque, improbabile che il picco del 2015 - almeno in relazione all’ultimo quinquennio - sia ancora da attribuire alle scorciatoie per eludere l’esame di Stato.

«Fenomeno che ora abbiamo cancellato - sottolinea Francesca Sorbi, consigliere nazionale dell’Ordine forense - anche grazie al fatto che la Spagna, su segnalazioni dell’Italia, ha posto fine all’iscrizione automatica all’Albo. Ci sono poi state situazioni, in particolare la versione rumena del fenomeno, che presentava profili di illegittimità e una sentenza della Cassazione ci ha consentito di cancellare coloro che si erano iscritti al nostro Albo attraverso la “via rumena”».

Anche i commercialisti e gli ingegneri -rimanendo alle professioni con più richieste di riconoscimento - hanno dovuto affrontare il problema e pure loro sono corsi ai ripari.

Eliminate le “patologie”, restano quanti effettivamente ricorrono al principio della libera prestazione per venire a lavorare da noi. «Una tendenza in riprensa - afferma Massimo Mariani, consigliere nazionale degli ingegneri e componente per la categoria della conferenza di servizi sul riconoscimento dei titoli - dopo che a partire dal 2008 si era, a causa della crisi, attenuata».

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