Regime degli impatriati, nuovi chiarimenti dell’Agenzia
Con tre distinte Risposte ad altrettante istanze di interpello, le nn. 492, 495 e 497 del 25 novembre 2019, l'agenzia delle Entrate ha fornito ulteriori chiarimenti in merito all'ambito applicativo del regime speciale per i lavoratori impatriati, di cui all'articolo 16 del Dlgs n. 147/2015.
Si ricorda che il regime speciale per i lavoratori rimpatriati è stato oggetto di modifiche da parte del decreto Crescita (Dl 34/2019, convertito dalla legge 58/2019), in vigore dal 1° maggio 2019, le quali sono rivolte ai soggetti che acquisiscono la residenza fiscale in Italia a partire dal periodo d'imposta 2020.
In sintesi, il regime in esame prevede che i redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 50 per cento. Si tratta di un'agevolazione temporanea, applicabile per un quinquennio a decorrere dal periodo di imposta in cui il lavoratore trasferisce la residenza fiscale in Italia, e per i quattro periodi di imposta successivi.
Per accedere al regime, la norma presuppone che il soggetto non sia stato residente in Italia per un periodo minimo precedente all'impatrio e si impegni a permanervi per almeno due anni, a pena di decadenza dall'agevolazione. Inoltre, in base all'articolo 2 del Dpr 917/1986, sono residenti in Italia le persone fisiche che, per almeno 183 giorni, sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. Tali condizioni sono fra loro alternative, per cui la sussistenza anche di una sola di esse è sufficiente a fare ritenere che un soggetto sia qualificato, ai fini fiscali, residente in Italia.
Risposta a interpello n. 492/2019
Il caso oggetto dell'interpello n. 492/2019, riguarda un cittadino italiano, iscritto all'Aire (dal 28 giugno 2017), distaccato in Francia per due anni, che rientra in Italia per lavorare nella stessa società presso cui prestava servizio prima della partenza, ma con differente mansione. Chiede quindi chiarimenti in ordine alla possibilità di fruire dell'agevolazione prevista per i lavoratori impatriati.
I soggetti che rientrano in Italia dopo essere stati in distacco all'estero non possono fruire del regime agevolato in considerazione della situazione di continuità con la precedente posizione lavorativa in Italia. Tuttavia, tale posizione restrittiva non preclude la possibilità di valutare specifiche ipotesi in cui il rientro in Italia non sia conseguenza della naturale scadenza del distacco ma sia determinato da altri elementi funzionali alla ratio della norma agevolativa. Ciò si può verificare, ad esempio, nell'ipotesi in cui:
- il contratto di distacco sia più volte prorogato e la sua durata nel tempo determini un affievolimento dei legami con il territorio italiano e un effettivo radicamento del dipendente nel territorio estero;
- il rientro in Italia del dipendente non si ponga in continuità con la precedente posizione lavorativa in Italia; il dipendente, pertanto, al rientro assume un ruolo aziendale differente rispetto a quello originario in ragione della maggiori competenze ed esperienze professionali maturate all'estero.
Nella fattispecie in esame, osserva l'agenzia delle Entrate che il lavoratore al rientro in Italia assume un ruolo aziendale differente rispetto a quello originario in ragione delle maggiori competenze ed esperienze professionali maturate all'estero. Pertanto, l'istante potrà essere ammesso a beneficiare del regime degli impatriati, a partire dal periodo d'imposta 2019 e per i successivi quattro periodi d'imposta.
Risposta a interpello n. 495/2019
Nel caso dell'interpello n. 495/2019, l'istante, cittadina italiana - residente in Irlanda da oltre sei anni e il cui contratto di lavoro all'estero avrà termine in agosto 2019 - prevede di rientrare in Italia a settembre 2019, quivi acquisendo la residenza fiscale ex art. 2 del Tuir. Chiede se può usufruire del regime fiscale di favore in esame.
Al riguardo occorre rilevare che, per quanto concerne l'individuazione della residenza fiscale fuori dal territorio dello Stato, la disposizione recata dal comma 5-ter dell'articolo 5 del Dl 34/2019, introdotto nell'articolo 16 del Dlgs 147/2015, dispone che «I cittadini italiani non iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (Aire) rientrati in Italia a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019 possono accedere ai benefici fiscali di cui al presente articolo purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi per il periodo di cui al comma 1, lettera a)» (ossia, nei due periodi di imposta precedenti il trasferimento).
Tali disposizioni tendono a comprovare il requisito della residenza all'estero anche secondo i criteri dettati dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni, per i soggetti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia a partire dal periodo d'imposta 2020.
Pertanto, laddove l'istante sia in grado di comprovare la residenza estera per gli anni di imposta 2018 e 2019 sulla base della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Irlanda, e sempreché risultino soddisfatti tutti gli altri requisiti richiesti dalla disciplina, potrà beneficiare dell'agevolazione de qua a decorrere dall'anno di imposta 2020. Con la conseguenza che i redditi percepiti dall'istante in Italia, nell'anno di imposta 2019, non potranno godere dell'agevolazione in quanto soggetto non residente. Diversamente, i redditi prodotti prevalentemente in Italia per il periodo d'imposta 2020, in presenza delle delineate condizioni, potranno invece fruire del regime agevolato per gli impatriati.
Risposta a interpello n. 497/2019
Per quanto concerne, da ultimo, l'interpello n. 497/2019, trattasi di un contribuente che ha svolto attività di lavoro dipendente in Norvegia nel periodo da luglio 2015 a gennaio 2018, trasferendovi la propria residenza, pur non cancellandosi dal registro anagrafico italiano. Nel mese di marzo 2018 è rientrato in Italia e ha iniziato un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Chiede se può essere ammesso a fruire del regime speciale per i lavoratori impatriati anche in assenza del requisito dell'iscrizione all'Aire.
L'agenzia delle Entrate spiega che l'articolo 16 del Dlgs 147/2015 non indica espressamente al comma 2 un periodo minimo di residenza estera, come, invece, previsto per i soggetti di cui al comma 1. Considerato, quindi, che il comma 2 prevede un periodo minimo di lavoro all'estero di due anni, si ritiene che per i predetti soggetti la residenza all'estero per almeno due periodi d'imposta costituisce il periodo minimo sufficiente a integrare il requisito della non residenza nel territorio dello Stato e a consentire, pertanto, l'accesso al regime agevolativo.
Qualora il periodo d’iscrizione all'Aire risulti insufficiente o detta iscrizione non risulti affatto, trova applicazione il nuovo comma 5-ter dell'articolo 16 del Dlgs 147/2015.
A tal fine, ritiene l'Agenzia che tale disposizione trovi applicazione non solo per i soggetti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia a partire dal periodo d'imposta 2020, ma anche per i contribuenti che hanno trasferito la residenza fiscale in Italia entro il periodo di imposta 2019.
Ne segue che nel caso di specie, laddove l'istante sia in grado di comprovare la residenza estera per gli anni di imposta 2016 e 2017 e sempreché risultino soddisfatti tutti gli altri requisiti richiesti dalla disciplina potrà beneficiare dell'agevolazione fiscale in esame.
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