Rapporti di lavoro

Con la clausola di stabilità si trattiene il dipendente

di Adriano Majolino

In un'epoca in cui il reperimento di alcuni profili professionali è raro nell'attuale mercato del lavoro e al contempo vi è un'elevata richiesta da parte di quest'ultimo di questi profili professionali, è utile tenere presente che l’azienda ha a disposizione uno strumento utile a garantire la stabilità di questi impieghi. Chiaramente ciò rappresenta un valore assoluto nel momento in cui è possibile realizzare questo risultato senza aggravare il costo del lavoro. A questo proposito vediamo cos'è la cosiddetta "clausola di stabilità" (o "clausola di durata minima").

Nelle more di una lettera di assunzione, così come in un eventuale successivo e separato atto, quando le parti concordano che il rapporto di lavoro, sia esso a tempo indeterminato o determinato, non potrà essere risolto prima che sia decorso uno specifico periodo di tempo, allora siamo in presenza di una clausola di stabilità. Essa è sempre ammissibile e per la nostra giurisprudenza di legittimità non rappresenta una clausola vessatoria (Cassazione 7 settembre 2005, numero 17817 e 19 agosto 2009, numero 18376), dunque non è richiesta la sua specifica approvazione per iscritto.

Le parti possono vicendevolmente concordare un periodo di stabilità del rapporto e in questo caso sia il datore di lavoro, sia il dipendente si impegnano a non risolvere anticipatamente il contratto, ma un ulteriore contributo della giurisprudenza di legittimità ci riferisce che il corrispettivo dell'obbligo assunto dal lavoratore può anche semplicemente materializzarsi in una proporzionata somma di denaro a carico del datore di lavoro così come, eventualmente, in un'obbligazione non direttamente monetaria purché proporzionata al sacrificio del lavoratore (Cassazione 9 giugno 2017, numero 14457).

Tali, ad esempio, sono stati riconosciuti un corso per piloti e un avanzamento di carriera non dovuto, che per natura è anche irreversibile nonostante la scadenza del termine di validità del patto di durata minima. Quanto alle obbligazioni monetarie lato datore di lavoro, non è infrequente che per l'assunzione di detti profili professionali siano necessarie somme economiche aggiuntive rispetto ai minimi tabellari. In tali circostanze, spesso si usano voci retributive quali "superminimo", "ad personam", le quali potrebbero cedere buona parte della loro consistenza a favore della "clausola di stabilità".

Fin qui le obbligazioni che le parti potrebbero contrarre a favore della stabilità del rapporto di lavoro. Diversamente, in caso di inadempimento di una delle parti, è altresì opportuno valutare a quali conseguenze potrebbero incorrere i singoli contraenti.

Cominciamo col dire che il recesso, quando sorretto da giusta causa, non comporta a carico del soggetto recedente l'onere di risarcire il danno eventualmente altrui patito; e ciò sia con riferimento al dipendente, sia al datore di lavoro.

Diversamente, in assenza di giusta causa, quando un lavoratore recede anticipatamente rispetto alla clausola di durata minima, tale situazione normalmente comporta l'onere di risarcimento del danno patito dal datore nella misura e con le modalità previste dalla clausola stessa. Al più, in caso di supposta sproporzione della clausola, si potrebbe aprire un tema di valutazione equitativa da parte di un giudice.

È sempre di attualità la tematica se il datore di lavoro possa o meno, in fase di liquidazione del rapporto di lavoro, trattenere dalla liquidazione del dipendente gli importi a suo carico a titolo di penale. Appare anche qui applicabile la regola generale secondo la quale, quando i crediti e i debiti hanno la stessa origine, la compensazione è sempre legittima.

Quando invece è il datore di lavoro a recedere anticipatamente dal rapporto in assenza di giusta causa, lo stesso sarà tenuto al rispetto per intero delle sue obbligazioni (monetarie e non) contratte a sostegno della clausola di stabilità. Anche in questo caso, l'intervento di un giudice potrebbe mirare a ridurre gli oneri economici, qualora, medio termine, il lavoratore sia riuscito a impiegarsi altrove (tribunale di Milano 16 marzo 1994).

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