Rapporti di lavoro

Contratti a termine in frenata, flop del Reddito di cittadinanza

di Giorgio Pogliotti

La verifica a tutto tondo nella maggioranza riapre la riflessione sulle modifiche al decreto dignità che ha cambiato la disciplina dei contratti a termine, così come sul reddito di cittadinanza, alla luce dell’impatto che hanno avuto sul mercato del lavoro.

Il decreto dignità, con la reintroduzione delle causali per i contratti a termine di durata superiore ai 12 mesi e l’aggravio contributivo dello 0,5% che scatta ad ogni rinnovo (somministrazione inclusa), introdotto nell’estate 2018, che va ad aggiungersi all’addizionale fissa dell’1,4%, ha favorito un maggior turn over. In sostanza alla scadenza dei 12 mesi invece di rinnovare il contratto a termine, diventato più oneroso e a rischio di contenzioso (per le causali), molti datori di lavoro preferiscono assumere un altro lavoratore. È quanto emerge dai dati Istat che tra luglio 2018 e ottobre 2019 (ultimo dato disponibile) evidenziano come i dipendenti a termine sono 56mila in più, si è passati infatti da 3.062.000 a 3.118.000. Ma nel contempo il saldo tra assunzioni e cessazioni con contratti a termine registrato dall’Inps mette in luce che si è passati da un saldo netto positivo di 33.770 contratti a luglio 2018 ad una caduta a -20.133 di ottobre 2019. Lo stesso fenomeno è accaduto per la somministrazione, dove si è passati nello stesso arco temporale da un saldo positivo di 16.747 rapporti di lavoro ad uno negativo di -76.892.

La stretta sui contratti a termine, è stata compensata solo in parte dall’incremento dei contratti a tempo indeterminato e delle stabilizzazioni, visto che il saldo netto complessivo tra nuovi contratti e cessazioni a ottobre 2019 è pari a -53.935 rapporti di lavoro, contro il + 135.077 di luglio 2018. In una congiuntura economica caratterizzata dalla stagnazione, con le prospettive ricche di incertezze e il portafoglio ordini in calo, molte imprese invece di stipulare contratti stabili hanno preferito optare per contratti flessibili. In questo contesto il decreto dignità ha reso maggiormente appetibili tipologie contrattuali meno costose per le imprese (contratti stagionali, lavoro intermittente, partite Iva) e meno tutelanti per i lavoratori, esattamente l’opposto del proposito originario del legislatore che mirava a contrastare la precarietà.

Quanto al reddito di cittadinanza, partiamo dai numeri: degli oltre 2,3 milioni di beneficiari, sono 791.351 quelli considerati occupabili dall’Inps, tra questi gli assunti al 10 dicembre sono 28.763, pari al 3,6%. Una percentuale ancora marginale, anche se superiore al dato della Banca d’Italia, secondo cui nel 2018 tra chi ha trovato un’occupazione alle dipendenze nel privato solo il 2,1% è passato per i centri per l’impiego. Peraltro non si sa quante assunzioni siano legate direttamente al Rdc, essendo avvenute a partire da aprile, mentre i navigator sono operativi nei centri per l’impiego solo da settembre-ottobre e solo da metà novembre è disponibile il modello Inps per consentire ai datori di lavoro di accedere all’incentivo fiscale, quando assumono a tempo indeterminato i beneficiari del Rdc, dopo aver pubblicato i posti disponibili sul portale dedicato. Ovviamente si tratta di dati ancora parziali, destinati a crescere con la messa a regime della macchina operativa. Ma questi numeri potrebbero rafforzare la riflessione nella maggioranza in direzione di un miglioramento della parte del Rdc relativa alle politiche attive del lavoro per favorire l’occupabilità dei percetori del sussidio.

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