Rapporti di lavoro

Convivenza possibile anche se le procedure sono di Ordini differenti

di Federico Coltro

La richiesta pervenuta al mondo dei professionisti di dotarsi di una procedura di autovalutazione del rischio giunge direttamente dalla fonte normativa primaria, il decreto legislativo 231/2007 così come modificato dal Dlgs 90/2017.

Gli articolo 15 e 16 introducono per i soggetti obbligati la necessità di dotarsi di «procedure oggettive per l’analisi e la valutazione dei rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo» e quindi «adottano i presidi e attuano i controlli e le procedure, adeguati alla propria natura e dimensione, necessari a mitigare e gestire i rischi individuati».

Gli organismi di autoregolamentazione (il Consiglio nazionale per i commercialisti ed esperti contabili e il Consiglio nazionale forense per gli avvocati), in veste del nuovo ruolo loro affidato, hanno adottato regole tecniche che spiegano agli iscritti la corretta modalità di implementazione di una procedura di autovalutazione del rischio. A oggi si è ancora in attesa della versione definitiva di regole tecniche da parte dei consulenti del lavoro.

Pur derivando la richiesta dalla medesima fonte normativa primaria, i due organismi di autoregolamentazione hanno ipotizzato per i propri iscritti procedure di autovalutazione che presentano alcuni punti in comune, ma anche aspetti differenti (primo fra tutti la metodologia di calcolo, dove per i commercialisti è introdotta una matrice numerica ponderata).

Uno studio associato formato da commercialisti e avvocati come dovrebbe impostare una autovalutazione del rischio? Quale procedura dovrebbe seguire? In assenza di chiarimenti istituzionali al riguardo, le possibilità ad oggi parrebbero due:

1) ogni professionista associato effettua in modo individuale l’autovalutazione del rischio riferita alla propria posizione, considerando per l’esame del rischio inerente solamente i clienti e gli incarichi personalmente gestiti e di cui lui è responsabile, seguendo le indicazioni e le modalità operative richieste dal proprio organismo di autoregolamentazione. In questo caso ci saranno tante autovalutazioni quanti sono gli associati di studio;

2) vengono effettuate tante autovalutazioni quante sono le linee di business seguite dallo studio associato (nel caso in questione un’autovalutazione relativa al mondo contabile a opera dei commercialisti e una relativa al mondo legale seguita dagli avvocati). I commercialisti associati pertanto dovranno effettuare una valutazione accentrata del proprio rischio inerente, prendendo in esame i clienti e gli incarichi complessivamente gestiti dalla loro business area. Dovranno poi effettuare un’analisi della propria vulnerabilità seguendo le indicazioni presenti all’interno della regola tecnica n. 1 emanata dal Cndcec, ottenendo infine il rischio residuo con l’utilizzo della matrice ponderata.

Gli avvocati in egual modo dovranno esaminare complessivamente la loro clientela, la tipologia prevalente di servizi offerti e l’efficacia dei propri presidi. La metodologia proposta dal Cnf per la redazione dell’autovalutazione è presente all’interno del documento di accompagnamento alle regole tecniche denominato “Criteri e metodologie di analisi e valutazione del rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo, con particolare riferimento all’adeguata verifica semplificata”.

Utilizzando questa metodologia di autovalutazione, lo studio associato può ottenere il proprio rischio per singola area di business e di conseguenza esaminare eventuali carenze e porre in atto miglioramenti sotto l’aspetto di presidi e organizzazione.

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