Rapporti di lavoro

Smart working deciso dall’azienda per il coronavirus

di Aldo Bottini e Giampiero Falasca


La nuova procedura semplificata di ricorso allo smart working (introdotta e disciplinata dal Dpcm del 25 febbraio) consente di attivare in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Liguria, Veneto e Friuli Venezia Giulia questa modalità di lavoro beneficiando di due importanti semplificazioni procedurali: non è necessario l'accordo con il lavoratore e l'informativa sui rischi generali per la salute e sicurezza sul lavoro si può inviare con modalità telematica (per esempio via email), anche avvalendosi dei moduli presenti sul sito Inail.

Per dare applicazione concreta a queste novità, ciascun datore di lavoro può ora procedere senza particolari formalità. Una volta presa la decisione di ricorrere al lavoro agile, può quindi comunicare direttamente al singolo dipendente (o a gruppi più estesi, se il provvedimento si applica collettivamente) la decisione di richiedere lo svolgimento della prestazione in modalità “agile”, allegando anche (contestualmente o con una comunicazione separata) l'informativa sui rischi per la sicurezza.
Per evitare incertezze, è opportuno indicare nella comunicazione che il lavoro agile viene attivato «ai sensi del Dpcm 25 febbraio 2020», anche se la mancanza di tale indicazione non invalida la disposizione aziendale.

Di norma le modalità di svolgimento dello smart working sono definite nell'accordo siglato tra le parti; considerato che in questa forma semplificata tale accordo non viene sottoscritto, è comunque opportuno che il datore di lavoro comunichi tutte quelle previsioni e indicazioni che normalmente, per legge, devono essere contenute nell'accordo (orario massimo di lavoro, riposi, diritto alla disconnessione, utilizzo degli strumenti telematici, esercizio del potere organizzativo e di controllo, eventuali fasce di reperibilità, riservatezza e protezione dei dati, eccetera). In relazione all'emergenza in corso, l'informativa sui rischi deve essere integrata con l'indicazione di evitare il lavoro in situazioni a rischio di contagio (come luoghi pubblici o affollati).

Questa forma semplificata fa sorgere anche un'altra questione: il dipendente, una volta ricevuta la comunicazione relativa all'attivazione del lavoro agile, potrebbe rifiutarsi di svolgere la prestazione con tale modalità, presentandosi comunque sul posto di lavoro? Considerato che questa forma semplificata (al contrario di quella ordinaria) di lavoro agile prescinde dalla volontà del dipendente, appare ragionevole pensare che il lavoratore non possa disattendere la disposizione aziendale.

Un'altra questione importante da risolvere concerne la possibilità che sia il lavoratore a chiedere la trasformazione in forma “agile” della propria prestazione. Il primo Dpcm approvato sul tema lasciava aperta questa soluzione, parlando di applicazione “automatica” dello smart working. Il nuovo decreto ha eliminato questo riferimento, che poteva ingenerare molta confusione applicativa. Con tale correzione, risulta chiaro che è l'azienda - tenendo conto delle esigenze organizzative imposte dalla situazione di emergenza – che può decidere per l'utilizzo del lavoro agile.

Del resto esso è pur sempre una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, come tale soggetta al potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro, e pertanto appare difficilmente ipotizzabile una sua “auto-applicazione” unilaterale da parte del dipendente.

Va ricordato, inoltre, che la procedura semplificata (salvo eventuali proroghe) è utilizzabile solo fino al 15 marzo; dopo tale data, si potrà proseguire con lo smart working, ma seguendo la regola ordinaria. Per chi avesse già in corso un accordo di lavoro agile alla data odierna, invece, nulla cambia, a meno che il datore di lavoro non ritenga di variare transitoriamente alcuni aspetti dell'accordo (per esempio aumentare i giorni di lavoro fuori dall'azienda). In tal caso, basterà comunicare al lavoratore la variazione e l'integrazione dell'informativa sui rischi.

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