Rapporti di lavoro

Licenziamenti: se si assiste un disabile stop alla giusta causa fino al 30 aprile

di Daniele Colombo

Fino al 30 aprile non potrà essere licenziato il genitore-lavoratore convivente di una persona con disabilità che debba assentarsi dal lavoro in seguito alla sospensione dell’operatività dei centri socio-assistenziali, se è comunicata e motivata al datore l’impossibilità di accudire il convivente disabile. Lo prevede l’articolo 47 del Dl 18/2020, il cosiddetto decreto “cura Italia”, che è all’esame del Senato per la conversione in legge (ed è atteso in aula questa settimana).

La tutela prevista per i genitori o i parenti di persone disabili si aggiunge alla “moratoria” di 60 giorni sui licenziamenti prevista in generale dal provvedimento, a tutela dei lavoratori, per gli effetti dell’epidemia scatenata dal coronavirus.

Salvo modifiche al decreto, dal giorno di entrata in vigore del provvedimento, il 17 marzo 2020, infatti, non possono essere avviate nuove procedure di licenziamento collettivo e sono sospese le procedure pendenti e avviate al 23 febbraio (articolo 46).

Inoltre, indipendentemente dal numero dei dipendenti occupati, non potranno essere intimati licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo.

Che cosa è vietato

L’articolo 47 del Dl 18/2020 prevede un divieto di licenziamento per giusta causa fino al 30 aprile 2020 nei confronti dei genitori conviventi di una persona affetta da disabilità che debbano assentarsi dal posto di lavoro per la sospensione di operatività dei centri socio-assistenziali a causa dell’epidemia di Covid 19.

Come intervento più generale, l’articolo 46 del Dl dispone invece che dal 17 marzo 2020 al 15 maggio 2020, non possano essere avviate procedure di licenziamento collettivo per messa in mobilità o per riduzione del personale. La prima situazione si verifica quando l’imprenditore, che ha già in atto una Cigs, ritenga di non poter attuare il risanamento o la ristrutturazione necessari al superamento della cassa. La seconda situazione si verifica invece quando l’imprenditore intenda licenziare almeno cinque lavoratori, nell’arco di 120 giorni, in conseguenza di una riduzione o di una trasformazione di attività o di lavoro o quando cessi l’attività.

L’articolo 46, ancora, sospende fino al 15 maggio 2020 le procedure di licenziamento pendenti e avviate dopo il 23 febbraio 2020. Sono fatte salve, quindi, le procedure di licenziamento collettivo avviate entro il 23 febbraio 2020, che potranno continuare il loro iter non senza difficoltà alla luce delle limitazioni governative sul Covid-19.

L’articolo 46, non contenendo una norma retroattiva, non sembrerebbe applicabile alle procedure ex articolo 7 della legge 604/1966 avviate e pendenti dopo il 23 febbraio 2020. Si tratta della conciliazione prodromica al licenziamento per giustificato motivo oggettivo applicabile ai lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 nelle imprese con più di 15 dipendenti.

Fino al 15 maggio, inoltre, i datori di lavoro, di qualsiasi dimensione, non potranno intimare licenziamenti individuali per ragioni inerenti all’attività produttiva o al regolare funzionamento della stessa (il licenziamento per giustificato motivo oggettivo). Dalla formulazione dell’articolo sembra che il “blocco” riguardi i recessi datoriali comunicati dal 17 marzo 2020, mentre sarebbero validi ed efficaci i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo intimati dopo il 23 febbraio 2020 e già perfezionati alla data di entrata in vigore del decreto.

Le procedure non bloccate

L’articolo 46 del Dl 18/2020 non si applica, invece, ai licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo. Anche il licenziamento ad nutum è una fattispecie che non rientra nel “blocco” (ad esempio il licenziamento per raggiungimento dell’età pensionabile per limiti di età o il licenziamento del lavoratore domestico). Il licenziamento per mancato superamento della prova (quale recesso ad nutum), invece, potrebbe incontrare dei limiti in relazione alla sospensione o riduzione delle attività lavorative per Covid-19.

Possono essere intimati i licenziamenti per superamento del periodo di comporto. Tuttavia, l’articolo 26 del Dl 18/2020 ha escluso dal calcolo dei giorni di malattia il periodo trascorso dai lavoratori privati in quarantena.

La nuova normativa non si applica nemmeno al licenziamento dei dirigenti, posto che a questi ultimi non si applica l’articolo 3 della legge 604/1966. Su questo punto, tuttavia, sarebbe opportuno un intervento del legislatore in sede di conversione del decreto, tenuto conto che i dirigenti rientrano nel blocco dei licenziamenti se coinvolti in procedure di licenziamento collettivo attivate successivamente al 23 febbraio 2020.

Quando scatta il blocco dei licenziamenti

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