Rapporti di lavoro

Licenziamenti economici sospesi fino al 17 agosto

di Angelo Zambelli

Per fronteggiare la prevedibile emorragia di posti di lavoro causata dal lockdown e dalle numerose incognite legate alla ripresa delle attività economiche, il Governo con l’articolo 46 del decreto cura Italia, entrato in vigore il 17 marzo, ha introdotto (per la prima volta nella storia repubblicana) un vero e proprio blocco per 60 giorni dei licenziamenti per motivi economici, individuali e collettivi.

Nel Dl rilancio, nel testo ancora in bozza, è stata prevista una proroga al divieto, che passa da 60 giorni a cinque mesi complessivi, quindi fino al 17 agosto.

Specularmente a tale proroga, il Governo ha incrementato di ulteriori cinque settimane i trattamenti d’integrazione salariale “speciale” fruibili per periodi di sospensione fino al 31 agosto, concedendo un ulteriore (eventuale) periodo di quattro settimane fruibili tra il 1° settembre e il 31 ottobre.

Pur volendosi astenere da ogni commento circa l'efficacia di una misura tanto restrittiva del principio costituzionalmente garantito della libertà dell'iniziativa economica privata, non ci si può esimere quantomeno dal rilevare come vi sia un’evidente sproporzione tra la durata del periodo di limitazione dei licenziamenti, pari a cinque mesi, e la durata massima dei trattamenti d'integrazione salariale “Covid-19” garantiti dal Governo fino al 31 agosto, pari nello stesso periodo a tre mesi e mezzo (14 settimane).

Le modifiche apportate dal Governo all’articolo 46 non si limitano però alla proroga del periodo di divieto, ma riguardano anche le procedure in corso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo individuale, le quali, analogamente alle procedure di licenziamento collettivo, vengono sospese fino al termine del divieto.

Sembrerebbe che le procedure in questione siano quelle avviate dalle aziende precedentemente al 17 marzo e che (per mancata previsione legislativa) non erano state incluse in un primo momento nella norma sulla sospensione.

Ultima novità contenuta nel decreto rilancio riguarda la possibilità riconosciuta ai datori di lavoro, a prescindere dal numero di dipendenti occupati (e già qui i dubbi assalgono l’interprete), di revocare senza limiti temporali i licenziamenti per motivi economici intimati “legittimamente” nel periodo tra il 23 febbraio e il 17 marzo, in deroga alla norma secondo cui la revoca, per essere valida, deve essere comunicata al lavoratore entro il termine di 15 giorni dall’avvenuta impugnazione del licenziamento.

Condizione per revocare è però la contestuale e necessaria richiesta del trattamento d’integrazione salariale “Covid-19”, a partire dalla data di efficacia del licenziamento.

Si fatica a comprendere l’utilità pratica per le aziende di quest’ultima modifica, la cui ratio sembrerebbe essere quella di rimediare in qualche modo alla discrasia temporale sussistente tra la data di decorrenza del divieto dei licenziamenti economici, il 17 marzo scorso (data di entrata in vigore della norma), e quella di decorrenza (retroattiva) del periodo di sospensione integrabile con gli ammortizzatori sociali “speciali”, il 23 febbraio, che ha in un qualche modo penalizzato i lavoratori licenziati nel periodo intercorrente tra le due date.

Il Governo, con tale modifica, sembrerebbe introdurre una sorta di moral suasion nei confronti dei datori di lavoro, onerando questi ultimi della scomoda decisione (seppur sostanzialmente a costo zero) se reintegrare i lavoratori “esodati” ormai più di due mesi fa, garantendogli le 14 settimane di ammortizzatori speciali a carico dello Stato (ma in tal modo non potendoli più estromettere fino al 17 agosto e con motivazione a quel punto da riformulare) ovvero lasciare le cose come stanno, confermando in tal modo il licenziamento a suo tempo intimato.Essendo un testo ancora provvisorio e soggetto comunque a conversione, l'auspicio è che si chiariscano i dubbi interpretativi e si migliori il dettato normativo.

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