Rapporti di lavoro

Se l’amministratore di società è un collaboratore, dovrebbe percepire l’indennità “covid”

di Antonio Carlo Scacco

L'articolo 27 del decreto legge 18/2020 dispone che, ai lavoratori titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa attivi al 23 febbraio 2020, iscritti alla gestione separata, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, è riconosciuta un'indennità per il mese di marzo 2020, pari a 600 euro.

La medesima indennità pari a 600 euro è erogata automaticamente (soggetti già beneficiari della indennità prevista per il mese di marzo) anche per il mese di aprile 2020 (articolo 84, comma 1, del decreto rilancio). Per il mese di maggio, invece, ai lavoratori titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, iscritti alla gestione separata, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, è erogata una indennità pari a euro 1.000 a condizione che abbiano cessato il rapporto di lavoro al 19 maggio 2020.

Tanto premesso, è utile una piccola digressione circa la possibilità che l'amministratore di società possa essere titolare o meno di un rapporto di collaborazione coordinata (articolo 409 del codice di procedura civile, modificato dalla legge 81/2017) e, conseguentemente, accedere alla indennità di cui sopra. In alcuni casi, infatti, le sedi territoriali Inps negano il riconoscimento del beneficio in base alla considerazione che il rapporto di amministrazione non è riconducibile alla collaborazione coordinata e continuativa.

Tale tesi deriva da una lettura della sentenza 1545/2017 di Cassazione a sezioni unite, contraria al precedente indirizzo indicato nella sentenza 10680/1994, in gran parte basata sulla evoluzione del diritto societario conseguente alla riforma del 2003. Tale ultima riforma ha infatti introdotto fondamentali mutamenti normativi sugli assetti e i rapporti societari. Per ovviare alla diffusa influenza dei soci di controllo sulle decisioni sociali, ha infatti rafforzato notevolmente l'autonomia dell'organo amministrativo fino a farne il "vero egemone" dell'ente sociale.

In tale mutato contesto normativo non era più sostenibile il rapporto di collaborazione teorizzato dalla sentenza del 1994, fondato in ogni caso sul coordinamento e l'etodirezione esercitata dagli altri organi societari (particolarmente dall'assemblea dei soci). Sugli approdi raggiunti nella sentenza del 2017, incidono tuttavia le modifiche intervenute sull'articolo 409 del codice di procedura civile a opera della legge 81/2017 (successiva alla sentenza 1545/2017), che ha formulato una nuova nozione di "coordinamento", aggiungendo la specificazione «la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l'attività lavorativa».

La nuova nozione di collaborazione coordinata, pertanto, è informata a principi di autonomia cui deve attenersi la attività del collaboratore, non riconducibili alla vecchia nozione di eterodirezione sulla quale, sostanzialmente, la Cassazione aveva fondato le sue argomentazioni. Ma anche a prescindere dalla (fondamentale ai fini qui esposti) evoluzione normativa, la riconducibilità del rapporto amministratore/società a un rapporto di tipo societario di immedesimazione organica non necessariamente esclude che tra l'amministratore e la società sussista una rapporto contrattuale, eventualmente di collaborazione coordinata e continuativa.

E' la stessa sentenza 1545/2017 ad ammetterlo espressamente nel punto 4 del dispositivo. A latere del rapporto societario, è ammissibile la definizione di un rapporto contrattuale tra amministratore e società (l'accordo di management o management agreement) all'interno del quale regolamentare tutte quelle previsioni non riconducibili direttamente al rapporto societario. Un accordo di management consiste (anche) nel compiere attività giuridica nell'interesse altrui, con ambiti di autonomia ma anche attività consulenziale sulle scelte da adottare. Quindi un contratto a causa mista ivi inclusa la causa del mandato, la cui disciplina resta applicabile quanto all'obbligo di pagamento del compenso (Trib Milano, 1 dicembre 2017).

Nell'accordo è possibile definire piani di incentivazione a breve o lungo termine legati alla performance aziendale (gli obiettivi sono solitamente determinati dall'assemblea dei soci), assegnazione di azioni gratuite in misura differenziata in funzione del periodo di vesting, benefit differenziati quali l'iscrizione al Fondo di previdenza complementare, di assistenza sanitaria integrativa ovvero altra assicurazione a fronte del rischio morte, invalidità, il golden parachute, il patto di non concorrenza, la durata dell'incarico, la eventuale esclusiva, la designazione di arbitri a fronte di eventuali controversie, eccetera.

In conclusione non è giuridicamente corretto (non lo è anche sotto il profilo del semplice buon senso) negare l'indennità prevista dall’articolo 27 del decreto cura Italia e dall’articolo 84, comma 1, del decreto rilancio (indennità che perseguono solo un effetto risarcitorio dei danni inferti dalla emergenza epidemiologica che, indubbiamente, hanno patito anche gli amministratori di società), argomentando che, in ogni caso, tra amministratore e società non può mai sussistere un rapporto di collaborazione coordinata. Ove quest'ultimo venisse in concreto accertato, nel rispetto delle altre condizioni previste dalla legge, la indennità dovrebbe essere erogata.

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