Rapporti di lavoro

Il lavoro agile richiede la tutela dei dati aziendali e della sicurezza del lavoratore

di Giuseppe Merola

L’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del Covid-19 si è tradotta nella più grande sperimentazione dello smart working mai realizzata nel nostro Paese. Superata la fase acuta, molte imprese stanno adesso seriamente valutando lo smart working, non più come rimedio emergenziale per gestire temporaneamente la contingenza, ma come strumento di organizzazione del lavoro da implementare in via strutturale e, quindi, nel lungo periodo. Molteplici sono infatti le opportunità che le imprese possono cogliere dal lavoro agile, non solo per favorire la ripresa delle attività, ma anche in un’ottica di sviluppo del business. Basti pensare all'impatto motivazionale che lo smart working può avere sul personale.

I lavoratori, infatti, beneficiano di una riduzione dei costi e dei tempi legati al tragitto casa-lavoro, si sentono maggiormente responsabilizzati e, soprattutto, riscontrano un miglioramento del proprio work-life balance. Questo potrebbe innescare un circolo virtuoso con effetti positivi in termini di incremento delle perfomances lavorative e della produttività. Non solo: lo smart working potrebbe costituire una formidabile leva in grado di avvalorare l'immagine di impresa “sostenibile”, sensibile, non solo al profitto, ma anche alle tematiche sociali ed ambientali. Ma il vantaggio forse più interessante e tangibile che le imprese possono trarre dallo smart working è legato alla possibile riduzione dei costi, con la revisione degli spazi destinati agli uffici.

Attenzione però, non tutto l'oro luccica. Anche lo smart working presenta alcuni limiti che le imprese dovranno attentamente valutare prima di introdurlo stabilmente in azienda. Fra tutti quello che sicuramente presenta maggiori criticità è l'esercizio del potere di controllo sul personale. È innegabile che il lavoro agile frappone oggettivi ostacoli alla possibilità per il datore di lavoro di controllare la qualità e quantità della prestazione. A ciò si aggiunga che gli strumenti di controllo a distanza dell'attività lavorativa sono soggetti ai limiti imposti dall’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori.

Eventuali criticità potrebbero presentarsi anche sotto il profilo della gestione delle informazioni confidenziali. Il luogo prescelto dal lavoratore per svolgere l'attività in smart working potrebbe, infatti, non garantire le stesse condizioni di riservatezza che i locali aziendali tendenzialmente assicurano attraverso, ad esempio, il controllo sugli accessi, gli armadi, gli archivi e così via.

Ma la più grande incognita potrebbe essere quella relativa alla sicurezza sul lavoro. I luoghi in cui viene resa l'attività in smart working non sono di pertinenza del datore di lavoro, il quale si troverebbe quindi impossibilitato a verificare materialmente l'idoneità degli stessi sotto il profilo della sicurezza sul lavoro. Ciononostante, la legge sul lavoro agile (n. 81/2017) impone al datore di lavoro l'obbligo di garantire la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in smart working e, a tal fine, prevede la necessità che al lavoratore debba essere consegnata un'informativa scritta sui rischi connessi alla particolare modalità di esecuzione della prestazione. Tuttavia, ove il lavoratore dovesse subire un infortunio in qualche modo connesso all'attività lavorativa resa da remoto, tale informativa, per quanto dettagliata, completa e correttamente predisposta, potrebbe non essere sufficiente ad esonerare il datore di lavoro da responsabilità. In conclusione, lo smart working è uno strumento che va maneggiato con cura. Sono diversi i benefici che ne possono derivare, ma non mancano le limitazioni e i rischi. L'azienda dovrà quindi scrupolosamente valutare pro e contro, cercando di capire se si tratta di uno strumento realmente confacente alle proprie esigenze ed obiettivi.

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