Rapporti di lavoro

Sindacati, dati shock sul lavoro: «A rischio fino a 850mila posti»

di Cristina Casadei

L’estate delle vacanze che durano un week end ha fatto sparire quei cartelli fosforescenti, scritti a mano, del cercasi barista, commessa, cameriere che negozi, bar e alberghi appendevano a inizio stagione. Se li ricorderanno i ragazzi e i meno ragazzi che tra maggio e giugno battevano la costa della riviera romagnola (per fare un esempio) per trovare un lavoro stagionale. Nelle attività dove la ricerca del personale è fai da te, quest’estate tutto è limitato all’essenziale. Abbonda, invece, la richiesta di flessibilità. Il turismo è il settore dove il crollo delle presenze e dei fatturati sta determinando lo scenario peggiore. Con ripercussioni drammatiche sul mercato del lavoro. Il segretario generale della Fisascat Cisl, Davide Guarini, ieri, al tavolo con i ministri del Lavoro, Nunzia Catalfo, e di Beni e Attività culturali e Turismo, Dario Franceschini, ha spiegato che «se tutto dovesse andare per il meglio nel 2020 verrà riattivato solo il 50% dei contratti stagionali». «È evidente che l’assistenzialismo non è sufficiente, sono urgenti investimenti pubblici e privati per accompagnare lo sviluppo turistico del paese e la riqualificazione delle infrastrutture, preservando l’occupazione», spiega Guarini.

La stima dei danni

Allargando l’obiettivo cosa sta succedendo o potrebbe succedere nei prossimi mesi in tutto il mercato del lavoro? Al netto del fatto che ci sono settori come alimentare, farmaceutica, chimica e una parte della logistica che hanno conservato una certa continuità nei livelli produttivi, la fine del lockdown ha significato in molti casi una conta dei danni inimmaginabile. Ben oltre la crisi del 2008 che nei cinque anni successivi ha determinato la perdita di un milione di posti di lavoro. Si pensi all’automotive che si è completamente fermata o all’edilizia. Per non dire della moda e delle collezioni perse. Ivana Veronese, segretaria confederale della Uil, ha incrociato i dati macroeconomici contenuti nel Def 2020, l’ultimo rapporto della Banca d’Italia e le stime di crescita della Ue e dei maggiori istituti e i dati sulle comunicazioni obbligatorie riferite ai rapporti di lavoro attivati e cessati, oltre all’andamento delle aperture e chiusure delle imprese nel secondo trimestre del 2020. Cosa viene fuori? «I posti di lavoro a rischio nel 2020 si possono stimare tra i 530mila e i 655mila», dice Veronese. Questo, però, sarebbe lo scenario positivo che «tiene conto dell’auspicabile proroga del blocco dei licenziamenti e della proroga a tutti i settori degli ammortizzatori sociali fino alla fine dell’anno», continua la sindacalista. Altrimenti? «La forbice si alzerebbe tra i 650mila e gli 850mila posti. È un elenco che non finisce più, dove non dobbiamo dimenticare che a valle dei settori c’è l’indotto – continua Veronese -. Ed è anche per questo che per noi diventa fondamentale il prolungamento degli ammortizzatori per tutti coloro che ne hanno bisogno». Una richiesta ribadita ieri dai segretari generali di Cgil, Maurizio Landini, Cisl, Annamaria Furlan e Uil, Pierpaolo Bombardieri, alla presentazione della “Notte per il lavoro” che si terrà stasera a Roma.

Un quadro instabile

La situazione che si è venuta a delineare con la ripresa dell’attività produttiva potrebbe non stabilizzarsi per un po’, «soprattutto in quei settori dove le imprese sono sottocapitalizzate», dice Tania Scacchetti, segretaria confederale della Cgil. C’è una carica di milioni di piccole imprese che è stata investita dall’onda della crisi ma anche dalla mutazione digitale che la ha accompagnata. «In questo scenario si intrecciano sia l’effetto immediato del calo del lavoro legato al forte calo del Pil, sia la trasformazione dentro il lavoro», interpreta Scacchetti. È difficile immaginare oggi come si ridefinirà la struttura dell’occupazione ma è chiaro che «ci sono settori che potrebbero trovare nuove prospettive e settori che invece hanno prospettive di tenuta molto più basse», osserva la sindacalista della Cgil che non ci sta a fare previsioni oggi perché «l’oggi è il tempo in cui bisogna pensare a dare continuità al lavoro con l’allungamento delle settimane di cassa e con il blocco dei licenziamenti». Misure che, però, non sono neutre, quando dietro c’è un crollo dei fatturati a due cifre. Lo sanno già molto bene i lavoratori atipici e quelli con i contratti a termine. Prendiamo la moda, che ha avuto un ricorso alla cassa integrazione mai visto prima, al punto che secondo il segretario nazionale della Femca Cisl, Raffaele Salvatoni, sta pagando un prezzo molto alto: «Il vero problema, però, non è tanto per i grandi marchi, quanto nella lunga filiera: le piccole imprese non reggono le difficoltà, non riescono a stare sul mercato. E nel momento in cui salta anche solo un anello della filiera, salta l’intero sistema, visto che si tratta di fornitori delle griffe più affermate».

Il ruolo dello Stato

C’è poi un ruolo dello Stato come datore di lavoro perché nel rilancio dell’occupazione c’è anche il motore pubblico. Si pensi soltanto all’edilizia che in questo lockdown, come racconta il segretario generale della Filca-Cisl, Franco Turri, sulla base dei dati delle Casse edili, ha visto «un calo dei lavoratori iscritti impressionante, in alcune realtà territoriali anche del 90%. Ora la situazione è ovviamente cambiata perché stiamo riscontrando una ripresa dell’attività, ma non dimentichiamo che negli ultimi 12 anni le costruzioni hanno perso 800mila addetti. Se ripartissero tutti i cantieri annunciati e se ci fosse un’accelerata per i lavori di edilizia scolastica, possiamo stimare che i posti di lavoro creati sarebbero circa 400mila, tra diretti e indotto». All’edilizia e alle tlc pensa anche Ivana Veronese che chiede: «Perché non provare a risolvere alcuni problemi strutturali del paese, dall’edilizia scolastica, alla rete digitale e alle infrastrutture una volta per tutte?»

La riforma degli ammortizzatori

Per Scacchetti ora «bisogna innanzitutto mettere in campo una riforma degli ammortizzatori sociali e tornare a ragionare sui contratti di solidarietà espansiva che consentirebbero un allargamento della base occupazionale. Le imprese vanno maggiormente incentivate. È una scelta politica». Lo spiraglio che arriva dal Fondo nuove competenze fa immaginare «una grande opportunità per riqualificare le persone e rilanciare le politiche attive - aggiunge la sindacalista della Cgil -. È chiaro che non c’è la misura che risolve tutto ma ci sono una serie di trasformazioni che possono aprire strade di ragionamento diverso. Su questo ragionamento si innesta il tema di come far ripartire la domanda e l’occupazione». Per la Cgil bisogna andare al di là della semplice corrispondenza «crolla il pil e crolla l’occupazione. Semmai si deve ragionare sulle leve che possono rilanciare il lavoro, compresa la riduzione dell’orario – dice Scacchetti -. Se è vero che non c’è nessuna riforma del mercato del lavoro che può generare occupazione, lo è anche che gli investimenti nelle infrastrutture, anche nel sociale, genererebbero ambiti di crescita esponenziale. Le scelte vanno fatte adesso per evitare che le difficoltà delle aziende si trasformino in esuberi».

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