Rapporti di lavoro

Allerta «licenziamento» per 50mila revisori nelle Srl

di Antonello Cherchi, Bianca Lucia Mazzei

Cinquantamila revisori a rischio revoca. Tanti sono quelli nominati dalle Srl per ottemperare agli obblighi del Codice della crisi. Ora che l’operatività di quest’ultimo è slittata a settembre 2021, ma soprattutto dopo che l’obbligo di nomina dell’organo di controllo o del revisore è stato spostato al 2022, si fa sempre più concreta la possibilità che le società pensino a revocare l’incarico.

Anche perché la proroga ha cambiato di nuovo i bilanci di riferimento per il superamento delle soglie che fanno scattare l’obbligo (4 milioni di attivo, 4 di ricavi e 20 dipendenti): non più gli esercizi 2018 e 2019 ma quelli del 2020 e del 2021 su cui peserà la crisi economica innescata dalla pandemia. Il campo di applicazione dei nuovi parametri sarà quindi più ristretto e molte delle Srl oggi obbligate potrebbero quindi non esserlo più.

Il problema riguarda, paradossalmente, proprio le Srl che si sono messe al passo con gli adempimenti del Codice della crisi. Secondo l’ultimo monitoraggio Cerved, l’obbligo di nomina del revisore riguarda un bacino di 68mila enti, 50mila dei quali si sono messi in regola. I più virtuosi hanno provveduto entro il 16 dicembre scorso - la scadenza originaria indicata dal Codice della crisi - gli altri entro giugno scorso, grazie alla proroga concessa, a termini già scaduti, dall’ultimo decreto legge Milleproroghe che ha posticipato l’obbligo all’approvazione dei bilanci 2019.

Con un ulteriore e più ampio rinvio (effettuato sempre quando la scadenza era stata superata) la legge di conversione del Dl Rilancio (Dl 34/2020) ha ulteriormente rimandato la nomina dei revisori al momento dell’approvazione dei bilanci 2021 e cioè alla primavera-estate 2022.

Lo scenario attuale è quindi diverso, sia per la durata del rinvio (due anni) che per i numeri che coinvolge: la scadenza di dicembre era stata rispettata solo dal 27% delle Srl mentre ora ad essersi messo in regola è stato il 74% delle società.

Ma l’azienda può procedere alla revoca unilaterale del rapporto? La soluzione non è univoca (si veda anche l’articolo in basso).

Il tema era già stato affrontato da Assirevi, l’Associazione delle società di revisione legale, in occasione della prima proroga, con il documento di aprile n. 234 (ora in fase di aggiornamento). Secondo Assirevi, il cambiamento normativo era un valido motivo per l’interruzione del rapporto. Tre le strade possibili: ìdimissioni del revisore, revoca per “giusta causa” e risoluzione consensuale (via consigliata se si voleva riconferire l’incarico allo stesso soggetto entro un anno).

Per Andrea Foschi, del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, la revoca «nel caso di sindaco unico e di revisore unico non è ammissibile». Ma al di là dell’interpretazione delle norme, «c’è una questione culturale: c’è chi è ancorato alla vecchia lettura del sindaco e del revisore come poliziotto. Non vede l’importanza di tali figure nell’aiutare le imprese a prevenire le crisi. Questa proroga di due anni è il primo passo per smantellare il Codice». I dottori commercialisti sono particolarmente interessati al problema: su 118mila iscritti all’Ordine, circa 80mila sono anche revisori.

Sul fatto che la revisione deve essere vista dalle società più come un vantaggio che come un costo insiste il presidente dell’Istituto nazionale revisori legali, Ciriaco Monetta che considera comunque legittima la revoca unilaterale: «L’intervenuta carenza dei requisiti di legge è una delle giuste cause previste dal Dm 261 ma le società, soprattutto quelle di minori dimensioni, devono capire che la revisione è un vantaggio poiché quel che spendono per il revisore poi lo recuperano grazie al controllo di gestione. Ma se optano per la revoca consigliamo la risoluzione consensuale».

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