Rapporti di lavoro

Dirigenti, possibile trattare sui costi

di Aldo Bottini

Nell’emergenza Covid è stato fatto ampio ricorso, per la categoria dei dirigenti, a patti modificativi della retribuzione. Ciò sia per l’esigenza obiettiva di riduzione dei costi in presenza di una contrazione dei ricavi, sia per ragioni di solidarietà con altri dipendenti collocati in cassa integrazione, con conseguente riduzione di reddito.

Le forme attraverso le quali la riduzione della retribuzione è stata attuata sono state molteplici, ma tutte attraversate dalla comune preoccupazione della futura tenuta di questo genere di pattuizioni. Infatti, mentre in passato erano per lo più stati ritenuti validi accordi di riduzione della parte di retribuzione eccedente i minimi contrattuali negoziata in sede di assunzione o successivamente, alcuni recenti orientamenti di legittimità e di merito hanno assunto un atteggiamento molto più rigido, affermando l’irriducibilità della retribuzione convenzionale, anche superiore ai minimi, al di fuori del meccanismo previsto dall’articolo 2103 del Codice civile, in materia di mutamento di mansioni.

Quest’ultima norma, al di là del collegamento funzionale con la modifica delle mansioni, prevede la possibilità di accordi modificativi della retribuzione in una delle sedi previste dall’articolo 2113, quarto comma, del Codice civile ma solo nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa proporzionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. Tutti requisiti (salvo forse il primo) poco attinenti alla situazione contingente dell’emergenza Covid, che invece sta alla base della maggior parte degli accordi stipulati con i dirigenti in questi mesi. Per non dire della difficoltà pratica di accedere alle cosiddette sedi protette durante il lockdown.

Una situazione che dovrebbe indurre la giurisprudenza a un ripensamento di un approccio eccessivamente rigido, in particolare per la categoria dirigenziale, che inspiegabilmente impedisce di rinegoziare quello che si è liberamente pattuito in un momento precedente. Pur a prescindere da ciò, si può ragionevolmente ritenere che i principi affermati dalla citata giurisprudenza non siano applicabili alla maggior parte degli accordi raggiunti con i dirigenti in questa fase. La gran parte di essi, infatti, ha natura prettamente temporanea, risolvendosi in una decurtazione retributiva pattuita non già in via definitiva, ma limitata ad alcune mensilità dell’anno in corso, spesso coincidente con il periodo di utilizzo della cassa integrazione per gli altri dipendenti.

Mentre il richiamo al principio dell’irriducibilità della retribuzione sembra presupporre un mutamento definitivo degli assetti contrattuali. La rigida applicazione di tale principio agli accordi in questione può essere esclusa, oltre che dalla temporaneità, dalla volontarietà o per meglio dire spontaneità di questo genere di pattuizioni, spesso esplicitamente motivate da assunzione di responsabilità nei confronti dell’azienda in difficoltà o da ragioni solidaristiche con gli altri dipendenti, talvolta con l’espressa finalità di liberare risorse da destinare al sostegno del personale sospeso. In queste situazioni, il richiamo al principio di irriducibilità della retribuzione, rigidamente esteso alla parte di retribuzione eccedente i minimi, appare particolarmente stridente.

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