Rapporti di lavoro

Analitico o a forfait: la scelta del sistema parte dai nodi fiscali

di Stefano Sirocchi

Per le trasferte fuori dal territorio comunale ci sono più sistemi di rimborso delle spese: forfettario, analitico e misto. Ognuno con diverse regole e soglie di esenzione. Ma nella scelta del regime più adatto contano anche la facilità e comodità nel gestire gli adempimenti amministrativi.

Le differenze tra i sistemi
Con il sistema forfettario, le indennità di trasferta non sono tassabili fino a 46,48 euro al giorno o sua frazione (77,47 euro per l’estero), e non vi è necessità di allegare fatture e ricevute relative alle spese, tranne quelle di viaggio e trasporto che però non rientrano nel plafond e non hanno massimali (ma devono essere documentate).

Il rimborso analitico o “a piè di lista”, invece, prevede che anche le spese di vitto e alloggio, oltre a quelle di viaggio e trasporto, siano esenti da tassazione senza alcun limite. Ma comprovate da idonea documentazione. Con il rimborso analitico, sono escluse da imposizione fiscale anche le “altre spese” (lavanderia, telefono, parcheggio, mance, eccetera), fino a un importo di 15,49 euro al giorno, elevato a 25,82 euro per le trasferte all’estero. In questo caso non c’è bisogno che le spese siano documentate, ma basta che siano attestate dal dipendente. Ogni sistema è alternativo all’altro e dev’essere tenuto fermo per tutta la trasferta.

Le scelte delle imprese
Lato azienda, le spese di vitto e alloggio sostenute per le trasferte effettuate fuori dal territorio comunale da dipendenti e collaboratori sono ammesse in deduzione per un ammontare giornaliero non superiore a 180,76 euro (258,23 per l’estero). Ai fini Iva, tali spese sono detraibili a patto che siano inerenti e documentate con fattura (articolo 19, Dpr 633/72); mentre è esclusa la detrazione dell’Iva in relazione agli acquisti di prestazioni di trasporto di persone, a meno che non formino oggetto dell’attività propria dell’impresa (ex articolo 19-bis1, comma 1, lettera e, del Dpr 633/72).

Alcune imprese gestiscono le trasferte dei dipendenti con una procedura centralizzata: pagamento dei servizi di trasporto con carte ad addebito su conto corrente della società stessa. Per ogni transazione l’estratto conto della carta contiene tutte le informazioni di dettaglio (ad esempio data d’acquisto, nome del passeggero, prestatore d’opera con descrizione della prestazione, valuta e importo pagato) che i dipendenti confermano al rientro dalla trasferta, importandole e validandole nella loro nota spese.

Secondo le Entrate, tale procedura è idonea ad attestare l’effettivo spostamento della sede di lavoro e l’utilizzo del servizio di trasporto da parte del dipendente, anche se i documenti elettronici di trasporto non sono allegati alla nota spese (è però necessario che siano conservati in formato elettronico, risposta n. 22 del 4 ottobre 2018). La procedura di dematerializzazione non richiede l’intervento di un pubblico ufficiale nel caso di documenti analogici originali non unici, ossia «documenti per i quali sia possibile risalire al loro contenuto attraverso altre scritture o documenti di cui sia obbligatoria la conservazione, anche se in possesso di terzi». Non si possono considerare “originali unici” i giustificativi di spesa emessi da soggetti extra Ue.

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