Rapporti di lavoro

Chiusura attività, sì ai licenziamenti se l’impresa è messa in liquidazione

di Giampiero Falasca

La proroga del divieto di licenziamento contenuta nell’articolo 14 del Dl n. 104/2020 sta facendo molto discutere gli esperti per la grande complessità tecnica della nuova disciplina, che non consente una lettura agevole delle regole appena introdotte e, anzi, incentiva dispute interpretative.

L’unico segmento delle nuova normativa al riparo da questa situazione di grande incertezza è quello contenuto nel comma 3, che individua i casi e le situazioni per le quali il divieto di licenziamento non si applica e, quindi, un datore può procedere immediatamente al recesso di uno o più rapporti di lavoro (a patto che sussistano i presupposti legali e sostanziali per procedere in tal senso).

La prima delle ipotesi per le quali non si applica il divieto riguarda i licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa. Ai fini dell’esenzione non basta, tuttavia, una cessazione parziale dell’attività (come, ad esempio, la chiusura di una singola unità produttiva o di un reparto), e non è nemmeno sufficiente la “semplice” chiusura dell’intera azienda. La legge richiede, infatti, che non sia prevista la continuazione, nemmeno parziale, dell’attività e che la chiusura sia seguita dalla messa in liquidazione della società. Inoltre, non c’è alcun esonero dal divieto di licenziamenti se nel corso della liquidazione viene ceduto a terzi un complesso di beni o attività aziendali che possa essere configurato come cessione di ramo dell’azienda in base all’articolo 2112 del Codice civile.

Lo logica sottesa a questa previsione è chiara: il legislatore vuole evitare che venga dichiarata una chiusura dell’attività che, nella sostanza, non è reale, e vuole altresì evitare che la liquidazione sia avviato al solo scopo di aggirare il divieto di licenziamenti mediante lo smembramento dell’azienda in più segmenti produttivi.

Un altro caso a cui non si applica il divieto di licenziamento è quello del fallimento. Anche rispetto a questa fattispecie il legislatore fissa alcuni paletti: rientrano nell’esenzione solo i fallimenti per i quali non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa oppure, qualora sia previsto, ne sia disposta la cessazione. Per i fallimenti che prevedano l’esercizio provvisorio solo per uno specifico ramo dell’azienda, invece, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi in questo ramo.

Il divieto non si applica nemmeno in caso di stipula di un accordo collettivo aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale che preveda il riconoscimento di un incentivo all’esodo.

In aggiunta a queste ipotesi, un’ulteriore esenzione è prevista dal comma 1 dell’articolo 14: il divieto di licenziamento non si applica ai casi di cambio appalto, quando il personale licenziato dall’appaltatore uscente sia riassunto dal soggetto che subentra, in forza di una “clausola sociale” fissata dalla legge, dal contratto collettivo o dal contratto di appalto.

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