Rapporti di lavoro

Protocollo 24 aprile da aggiornare: tra i casi inattuali c’è la trasferta

di Massimiliano Arlati e Luca Barbieri


Spirato l’originario termine di vigenza del Dpcm 7 agosto 2020, recante misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica, il Dpcm 7 settembre 2020 ne ha prorogato la validità sino al 7 ottobre 2020, intervenendo con mirate ulteriori misure volte ad assicurare un più efficace contrasto al mutevole fenomeno epidemico.
In particolare, è stata prorogata la vigenza dall'articolo 2 del Dpcm 7 agosto 2020 in materia di misure di contenimento del contagio per lo svolgimento in sicurezza di attività produttive industriali e commerciali e che a sua volta recepisce il Protocollo condiviso 24 aprile 2020 di contenimento della diffusione del virus negli ambienti di lavoro, prescrivendone la stretta osservanza.

Il Dpcm 7 settembre 2020 è solo l'ultimo in ordine di tempo di un’affollata teoria di atti amministrativi che, replicando una tecnica di produzione normativa che presenta profili di criticità sia sul piano della razionalità e organicità del tessuto normativo in materia prevenzionistica che con riguardo ai paradigmi organizzativi dell'impresa, hanno elevato le linee guida contenute nel Protocollo 24 aprile 2020 a norme di rango secondario, trascurando con eccessiva disinvoltura la necessità di assicurare una compiuta integrazione con il Dlgs 9 aprile 2008, n. 81.

Oltre alle distonìe innescate dal mancato espresso coordinamento con l’apparato normativo prevenzionistico, l'attuazione del Protocollo 24 aprile 2020 presenta un’ulteriore e complessa criticità, legata all'attualità delle prescrizioni in esso contenute; la fissità del Protocollo 24 aprile 2020 - in più parti superato e inadatto a rispondere, in una prospettiva prevenzionistica, alle mutazioni attraversate dal fenomeno epidemico così come all'incessante produzione normativa e alle profonde trasformazioni degli assetti socio-economici - è peraltro inconciliabile con l’articolo 29, comma 3 del richiamato D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, per effetto del quale il documento dei rischi non può che essere dinamico, rielaborato ed aggiornato ogni qual volta le modifiche del processo produttivo od organizzative o mutate condizioni di rischio ne determinino la necessità.

In un contesto in cui le attività di svariati settori produttivi hanno ripreso a funzionare - in casi affatto sporadici, anche a pieno regime – e le relazioni tra le imprese si riattivano intensificando le interazioni (anche transnazionali), diverse prescrizioni del Protocollo 24 aprile 2020 risultano non solo inattuali, ma altresì d'ostacolo per un’ordinata conduzione dell’attività d'impresa. Si consideri ad esempio l'istituto della trasferta.

Divieto di trasferta

Al riguardo, il Protocollo stabilisce che ogni trasferta deve essere sospesa od annullata, anche se già concordata od organizzata. Se in una prima fase - particolarmente critica - della crisi sanitaria tale prescrizione poteva trovare un fondamento, al momento pare eccessivamente severa e, come accennato, pressoché impraticabile sul piano economico ed organizzativo quando l'impresa, superata la fase ‘acuta' dell'emergenza, intenda restituire alla propria rete di relazioni - non solo negoziali - la dinamicità attesa. Con riguardo alla trasferta (e, per analogia, al distacco) di un lavoratore, è fondato ritenere che il datore di lavoro possa comunque ricorrervi:

- invocando il disposto di cui all'articolo 4 dello stesso decreto (confliggente manifestamente con le disposizioni dettate in materia dal Protocollo;

- adottando le più prudenti e ragionevolmente praticabili misure di tutela per la salute del lavoratore in trasferta o distaccato, senza per questo sia ravvisata violazione alcuna del Protocollo 24 aprile 2020.

Ad esempio, l'effettuazione periodica di un'indagine sierologica capillare alla quale il lavoratore inviato in trasferta o in regime di distacco si sia sottoposto volontariamente perché possa essere assicurato un adeguato livello di protezione durante lo svolgimento dell'attività di lavoro presso le pertinenze del committente costituisce una misura prevenzionale che, sebbene non contemplata espressamente dal Protocollo 24 aprile 2020, può essere stata appositamente disciplinata dalle parti nel documento unico di valutazione dei rischi da interferenze ai sensi dell'articolo 26 del già richiamato Dlgs 9 aprile 2008, n. 81, alla luce delle considerazioni svolte in tema di sorveglianza sanitaria dai rispettivi medici competenti e, dunque, costituirsi come valida misura alternativa alla menzionata prescrizione che impone la sospensione e l'annullamento della trasferta.

Come anticipato, la norma in esame dettata dal Protocollo 24 aprile 2020 pare ancor più stridente rispetto all'attuale contesto normativo se solo si consideri che ai sensi dell'articolo 4, comma 1 del medesimo Dpcm 7 agosto 2020, la cui vigenza è prorogato, come detto, al 7 ottobre 2020, è disposto, nel solco di norme già rinvenibili nel Dpcm 11 giugno 2020 e vigenti tra il 15 giugno e il 31 luglio 2020, che comprovate esigenze lavorative possano giustificare spostamenti sia nell'ambito del territorio nazionale che verso Stati stranieri così come in ingresso da questi (seppure con specifiche limitazioni).

In termini di coordinamento normativo, la frammentazione della legislazione regionale, che si aggiunge, e talvolta sovrappone non senza attriti, alla disciplina nazionale presenta un ulteriore aggravio in termini organizzativi. Si valuti la difficoltà nel coordinare l'attività di un lavoratore da inviare in trasferta che abbia ripreso servizio dopo aver trascorso le ferie annuali in uno degli Stati individuati dal Ministero della Salute con ordinanza 12 agosto 2020.

Come noto, l'articolo 1, comma 1, lettera b) di tale ordinanza, vigente sino al 7 ottobre 2020 per effetto dell'articolo 1, comma 2 del Dpcm 7 settembre 2020, prescrive che il lavoratore:

a) è obbligato a sottoporsi ad un test molecolare o antigenico da effettuarsi al più tardi entro 48 ore dall'ingresso in Italia presso l'azienda sanitaria locale di riferimento;

b) è tenuto ad osservare un periodo di isolamento fiduciario presso la propria abitazione o dimora nell'attesa di sottoporsi al test (desta qualche perplessità la specificazione che l'obbligo d'isolamento fiduciario viga sino all'effettuazione del test e non sino alla comunicazione dell'esito negativo dello stesso).

Regole diverse tra Regioni

È altrettanto noto come nell'ambito del territorio della Regione Lombardia l'ordinanza 15 agosto 2020, n. 597 preveda, diversamente da quanto previsto dall'ordinanza ministeriale, che in luogo dell'isolamento fiduciario il lavoratore possa, in perfetta osservanza delle misure di cui all'allegato 19 del Dpcm 7 agosto 2020, effettuare spostamenti per comprovate esigenze lavorative, utilizzando preferibilmente un mezzo proprio.

Fermo restando quanto sopra, il datore di lavoro che abbia inviato in trasferta il lavoratore in attesa di effettuare il test in Lombardia non avrà violato alcuna disposizione; diversamente, dicasi nell'ipotesi in cui la trasferta sia stata programmata in un'altra Regione, fosse anche per lo stesso giorno. Trattasi di un'evidente asimmetria normativa che sul piano organizzativo si traduce nello sgradito onere per il datore di lavoro di verificare l'attuabilità del programma imprenditoriale in relazione al territorio regionale d'interesse, lasciando in ogni caso ingiustificata la coesistenza di diversi livelli di protezione in ragione della sola collocazione territoriale del luogo di svolgimento dell'attività di lavoro.

Gli altri elementi da rivedere

Gli elementi di criticità (e inattualità) che presenta il Protocollo 24 aprile 2020 non si limitano al solo istituto della trasferta; è auspicabile una rivisitazione dell'intero impianto, effettuando un riesame delle disposizioni affinché:

- sia garantito un migliore raccordo con le disposizioni di cui al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81;

-siano più puntualmente disciplinati i rischi interferenziali per la salute rilevati in previsione dell'esecuzione di un contratto d'appalto (e subappalto) o di affidamento di un'opera o servizio;

-il ricorso al lavoro agile di cui al Capo II della Legge 22 maggio 2017, n. 81 sia più opportunamente circostanziato, prevedendo la possibilità che il datore possa impiegare temporaneamente tale istituto anche quale misura di tutela per la salute, prescindendo da un apposito accordo con il lavoratore;

-tra le misure di tutela sia espressamente annoverato il test sierologico rapido.L'attività di riesame del Protocollo 24 aprile 2020 dovrebbe pertanto mirare al definitivo superamento degli elementi di staticità dell'attuale impianto normativo; sarebbe in tal modo agevolato - e opportunamente orientato, anche richiamando già sperimentate soluzioni - l'effettivo recepimento delle disposizioni in un protocollo aziendale, evitando che siano pregiudicati gli essenziali caratteri di dinamicità e di rapida adattabilità del sistema di prevenzione in una fase in cui l'irrinunciabile necessità di garantire la tutela della salute è opportuno sia bilanciata con le esigenze derivanti da una rinnovata progettualità dell'impresa.

Analoghe considerazioni possono essere svolte, prevedendo opportuni adattamenti e argomentazioni, anche con riferimento ai Protocolli vigenti in specifici settori e ambiti di cui agli allegati 13 e 14 del medesimo D.P.C.M. 7 agosto 2020.

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