Rapporti di lavoro

Un’azienda su quattro aumenta la formazione

di Cristina Casadei

In passato ogni fase di crisi ha spesso coinciso con tagli alle attività di formazione. Questa emergenza sanitaria ha impattato duramente sulla produzione, ma ha anche costretto molte aziende a una remotizzazione di massa del lavoro per garantire la continuità operativa. Di qui la necessità di fare molta formazione sui nuovi applicativi aziendali, introdotti con lo smart working e sulle soft skills che in questa modalità di lavoro sono diverse da quelle necessarie in presenza. Adesso che l’onda si sta via via abbassando ci si chiede se la formazione conserverà una sua centralità. Emanuele Castellani, amministratore delegato per l’Italia di Cegos, specializzata nelle attività rivolte a middle manager e white collar, ha cercato di capirlo sentendo 416 aziende: il 26% con meno di 100 addetti, il 35% tra 101 e 500, il 21% tra 501 e 2000 e infine il 18% oltre 2mila. Ne è emerso che «il 59% delle aziende non rinuncerà agli interventi formativi ritenuti essenziali, il 25% aumenterà gli investimenti perché considera la formazione una leva importante per superare i momenti di crisi, mentre il restante 16% dice che in questa fase li sospenderà», spiega il manager.

Se in una quota minoritaria di aziende l’incertezza ha fatto tagliare i corsi, prendendo il 25% che sta sfruttando e sfrutterà la leva della formazione, emerge che, di queste, «il 24% lo ritiene importante per fare fronte all’aumento del business, mentre il 22% spiega che la riduzione dei carichi di lavoro dovuta al lockdown ha consentito di puntare sullo sviluppo delle risorse», afferma Castellani. È uno scenario nuovo quello che si presenta ai formatori in questa fase e che richiede modalità diverse, anche a una società come Cegos che ha un approccio più presenziale e basato sull’efficacia degli interventi. In 3 mesi, ossia maggio, giugno e luglio la società ha sviluppato oltre mille classi virtuali e, dai piani che sta sviluppando, Castellani può dire che la maggioranza delle aziende che prosegue le attività formative lo farà in una modalità nuova. «Durante il lockdown e subito dopo, i tre quarti delle aziende hanno incrementato il digitale in modalità sincrona soprattutto webinar e virtual classroom, mentre per l’ultima parte del 2020 il 42% ha ancora intenzione di avvalersi della formazione digitale. Già nelle prossime settimane, però, il 79% delle imprese dice di voler riprendere le aule in presenza, naturalmente se il contesto lo consentirà. Il maggior ricorso alle attività in presenza tornerà a prevalere nel 2021 ma l’approccio sarà blended, ossia in parte in presenza e in parte da remoto, nel 59% dei casi».

Ai lavoratori si chiede «una sempre maggiore autoresponsabilizzazione e un ruolo attivo rispetto alle loro competenze. È una sorta di zainetto che all’interno contiene una dotazione di proprietà della persona. Nel bilanciamento le hard skills risultano importanti ma lo sono anche tutte quelle soft skills che servono per aumentarne l’efficacia», spiega Castellani. Nello zainetto, in particolare non potranno mancare almeno 7 skills su cui è necessario lavorare. E cioè, dice Castellani«il remote management, diventato fondamentale con la diffusione massiva dello smart working, la digital communication, resa necessaria dai meeting virtuali e sulle piattaforme, l’agilità e l’adattabilità, perché siamo passati da una fase di mercato che procedeva a step a un mondo molto instabile, la creatività e il senso dell’innovazione, lo spirito di iniziativa, l’organizzazione efficiente del lavoro e imparare a imparare».

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