Rapporti di lavoro

Uscite soft con la risoluzione concordata

di Aldo Bottini

Tra le eccezioni al blocco dei licenziamenti ve n’è una che si sta rivelando uno strumento particolarmente utile, sul piano pratico, per affrontare situazioni in cui vi sia una necessità di alleggerimento del personale, o semplicemente per agevolare percorsi di uscita che vedono già la disponibilità delle parti ma che non si sono potuti concretizzare per il mancato riconoscimento della Naspi in caso di abbandono volontario del posto di lavoro.

Gli ultimi due provvedimenti di blocco dei licenziamenti (decreto Agosto e primo decreto Ristori) prevedono che il divieto non si applichi nell’ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai dipendenti che aderiscono a tale accordo. In questa ipotesi, e in ciò consiste il punto di maggior interesse, ai lavoratori aderenti è riconosciuta la Naspi. Al momento della sua prima introduzione, questa norma, dato anche il suo carattere di novità, ha suscitato vari interrogativi. Vi è stato chi ha sostenuto la necessità che all’accordo si potesse giungere solo dopo l’esperimento della procedura di consultazione prevista per i licenziamenti collettivi. Altri hanno affermato, al contrario, che l’accordo fosse lo strumento per “sbloccare” (a monte) la possibilità di dare corso (a valle) a procedure di licenziamento collettivo o individuale.

La prassi sindacale si è incaricata di sgombrare il campo da tali interpretazioni, orientandosi verso una lettura (e una applicazione pratica) molto più semplice e aderente alle necessità manifestatesi sul campo, peraltro già da molti commentatori indicata come la più logica, anche solo sulla base della formulazione letterale. In sostanza, la norma va letta (e viene in questa fase di fatto applicata) come un via libera del sindacato alla possibilità di sottoscrivere con i lavoratori accordi di risoluzione consensuale incentivata del rapporto di lavoro. La preventiva “autorizzazione” sindacale vale a far ottenere ai dipendenti la Naspi che altrimenti, al di fuori dell’accordo sindacale, non sarebbe riconosciuta in caso di risoluzione consensuale. Quest’ultima è infatti pur sempre possibile, anche in questo periodo di blocco, senza necessità di passare per un accordo sindacale. Ma quest’ultimo è necessario per accedere alla Naspi.

Naturalmente il sindacato, nell’esercizio delle sue funzioni, non si limita al rilascio burocratico di un’autorizzazione, ma negozia, come è ovvio, l’ammontare e le caratteristiche dell’incentivo riconosciuto a fronte della cessazione e altre eventuali provvidenze a favore dei lavoratori aderenti. Si tratta dunque di una forma di gestione concordata e non traumatica delle uscite, che non richiede alcuna procedura particolare o vincolante. Neppure le singole risoluzioni consensuali che fanno seguito all’accordo richiederebbero di per sé una forma specifica, anche se la consolidata prassi di accompagnare alla risoluzione del rapporto una transazione generale o comunque delle rinunce a eventuali diritti maturati postula la necessità di una formalizzazione in sede protetta. Quest’ultima, peraltro, consente di evitare la procedura telematica di risoluzione consensuale (articolo 26 del Dlgs 151/2015), secondo alcuni peraltro non necessaria data la specialità della fattispecie.

La previsione nell’accordo sindacale di un incentivo all’uscita, necessaria perché si producano gli effetti specifici della fattispecie (Naspi), non può diventare una sorta di offerta al pubblico vincolante per il datore di lavoro, che si ritrovi in qualche modo costretto a incentivare la risoluzione del rapporto di dipendenti che ha viceversa interesse a trattenere. Per evitare tale rischio, è prassi comune, sperimentata nelle procedure di licenziamento collettivo fondate sul criterio della volontarietà, l’inserimento di una clausola che riconosca al datore la facoltà discrezionale di non stipulare accordi di risoluzione consensuale con quei dipendenti che, sulla base di proprie valutazioni, ritenga preferibile non incentivare all’esodo.

Quanto ai soggetti con cui raggiungere l’accordo collettivo, la formulazione della norma esclude senza dubbio le rappresentanze sindacali aziendali (Rsa o Rsu), il che certamente stona con la natura aziendale dell’accordo. Il requisito indicato dal legislatore per selezionare i sindacati abilitati a firmare gli accordi è quello consueto della maggiore rappresentatività comparativa a livello nazionale, che può ritenersi soddisfatto per le associazioni nazionali di categoria firmatarie del Ccnl applicato in azienda, che però non necessariamente dovranno sottoscrivere tutte insieme l’accordo.

Il meccanismo, pensato come una valvola di sfogo rispetto al blocco dei licenziamenti, è destinato a operare finché quest’ultimo sarà in vigore. Quindi accordo sindacale e risoluzioni consensuali dovranno essere sottoscritti (ad oggi) entro il 31 gennaio 2021. Nulla sembra però vietare che, nell’accordo di risoluzione, possa pattuirsi una data di cessazione differita, che vada anche oltre la fine del blocco.

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