Rapporti di lavoro

Performance migliori per gli studi che adottano politiche di inclusione

di Isabella Fusillo

I termini diversità, inclusione ed eguaglianza sono acquisiti nel linguaggio e nella comunicazione. Per diversità si intende la pluralità dei punti di vista fondamentali e la valorizzazione delle persone per il loro genere, età, orientamento sessuale, etnia e disabilità. L’inclusione è la capacità di costruire un ambiente che rispetti le diversità chiamando ognuno, per la propria specificità, alla condivisione delle responsabilità. L’uguaglianza è la garanzia che tutte le persone di un’organizzazione abbiano accesso alle medesime opportunità.

Negli anni questi tre temi sono diventati fondamentali nella comunicazione delle aziende e poi dei grandi studi che hanno adottato policy e governance ad hoc spinti da alcune leve come la richiesta del mercato e lo sviluppo dei talenti. I clienti tendono spesso a scegliere studi che siano composti con professionisti di età differenti, in modo paritario da uomini e donne con ruoli di responsabilità e (laddove il contesto sociale lo consente) con una rappresentanza etnica equilibrata e con policy chiare rispetto all’orientamento sessuale.

Questi tre fattori non sono appannaggio delle multinazionali e delle grandi law firm ma un terreno sul quale gli studi di piccole o medie dimensioni devono concentrarsi per farli diventare pilastri della propria organizzazione e della comunicazione. In numerose ricerche sono state raccolte evidenze che confermano che nei luoghi di lavoro che adottano valori e policy su questi temi si ottengono performance economiche migliori, i professionisti e i talenti vengono rispettati e valorizzati, si ha un minore turnover e una maggiore “fedeltà”.

Uno studio che faccia di diversità, inclusione e uguaglianza il proprio mantra deve innanzitutto formarsi su questi temi, scovare i pregiudizi (cosiddetti uncoscious bias) che condizionano i colloqui per i nuovi collaboratori o che influiscono nella negoziazione con la controparte. Gli stereotipi e i pregiudizi vanno combattuti stabilendo obiettivi precisi quali: che il numero di professionisti e di professioniste cresca in maniera paritaria rispetto a responsabilità e seniority, che i compensi non siano influenzati dal genere, che il linguaggio nello studio non sia mai offensivo, né allusivo rispetto agli orientamenti sessuali, promuovendo azioni di welfare come la condivisione paritaria delle responsabilità familiari fra uomini e donne, stabilendo un percorso di crescita dei professionisti più giovani senza mai sconfinare in atteggiamenti molesti, di bullismo e di prevaricazione.

Il contesto nel quale gli studi si muovono oggi è cambiato rapidamente: la concorrenza, la comunicazione e l’attenzione ai valori sociali sono ormai imprescindibili. L’innovazione, la capacità di analisi giuridica e la scelta di una strategia sono spesso il frutto di una combinazione di più punti di vista che un team costruito sulla pluralità - e non a immagine e somiglianza del dominus - raggiunge più facilmente. I tempi frenetici con i quali i clienti richiedono una risposta impongono un uso della tecnologia che è più familiare per i giovani e che unito all’esperienza dei senior porta a risultati migliori. Un ambiente di lavoro non condizionato dagli stereotipi , dove ognuno può portare - senza finzioni od omissioni- la propria vita personale e il proprio orientamento sessuale è un luogo di lavoro più corretto ed etico dove ogni professionista, che sia giovane, Lgbt+ o portatore di disabilità lavora meglio e resta più volentieri.

Fondamentale è la necessità di porre attenzione a questi temi anche per la difesa della reputazione. Basti pensare al danno di immagine se si diffondesse nel mercato la percezione che le professioniste sono penalizzate nella loro carriera quando diventano madri o che i giovani non siano trattati adeguatamente o che le persone Lgbt+ siano oggetto di allusioni o anche solo non libere di esprimersi.

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