Rapporti di lavoro

Auto in uso promiscuo ai dipendenti: conguagli difficili sui veicoli vecchi concessi dopo luglio

di Stefano Sirocchi

L’incertezza sulla corretta quantificazione dei valori fiscali relativi alle auto date in uso promiscuo al dipendente a partire dal 1° luglio scorso, ma immatricolate precedentemente, crea non poche difficoltà in sede di conguagli fiscali. Analoghi dubbi permangono anche nella circostanza in cui queste auto “vecchie”, ossia immatricolate entro il 30 giugno 2020, siano concesse a partire dal 1° gennaio prossimo, ad esempio nell’eventualità occorra ricollocarle a seguito delle dimissioni di alcuni dipendenti assegnatari.

Peraltro, l’errata individuazione dell’imponibile Irpef, produce effetti negativi anche a livello contributivo, sia lato azienda che dipendente, con tutte le conseguenze del caso in termini di corretti versamenti e comunicazioni dei dati.

La norma

Ma andiamo con ordine. Con la legge di bilancio 2020 è stato disposto che gli autoveicoli, i motocicli e i ciclomotori dati ai dipendenti in uso promiscuo con contratti stipulati dal 1° luglio e relativi a mezzi di trasporto nuovi di fabbrica, ossia immatricolati a partire dal 1° luglio, seguono la nuova disciplina che, in sostanza, tiene conto del livello di emissione di anidride carbonica del veicolo assegnato ai fini della determinazione del reddito imponibile mediante un calcolo comunque forfetario.

Per le assegnazioni stipulate entro il 30 giugno 2020, invece, continuano ad applicarsi le vecchie regole, come previsto dalla disciplina transitoria.

Il caso da risolvere

Nessuna norma specifica, infine, è prevista per le assegnazioni successive a questa data, ma relative a veicoli immatricolati in precedenza. In tali casi, secondo le Entrate, si applicano le disposizioni generali e in particolare il benefit dovrà essere fiscalmente valorizzato per la sola parte riferibile all’uso privato del veicolo, scorporando quindi dal suo valore normale, l’utilizzo nell'interesse del datore di lavoro (risoluzione 46/2020).

La determinazione del valore normale non è operazione agevole, dovendo individuare il valore di mercato del benefit secondo i criteri di cui all’articolo 9 del Tuir. Semplificando al massimo (pur rimanendo all’interno di un perimetro che dovrebbe essere accettabile), si potrebbe far coincidere tale valore con le rate pagate dall’azienda alla società di noleggio.

I dubbi e la rendicontazione

Poiché l’applicazione delle disposizioni generali di solito implica misurazioni analitiche, la quantificazione dell’utilizzo del veicolo nell’interesse del datore di lavoro parrebbe richiedere una rendicontazione dettagliata degli spostamenti di lavoro, ad esempio mediante la tenuta di un registro. Le percorrenze potrebbero poi essere valorizzate in base ai costi chilometrici indicati nelle tabelle Aci.

Al di là di ulteriori dubbi e complicazioni, come ad esempio sapere se nell’uso lavorativo vanno ricomprese anche le trasferte all’interno del territorio comunale dove è ubicata la sede di servizio, si aggiunge anche una distorsione insita nella formula proposta dall’Agenzia, data, appunto, dalla differenza tra valore normale e utilizzo aziendale.

Infatti, se il costo della percorrenza aziendale fosse pari o superiore al costo del noleggio (criterio utilizzato per determinare il valore normale), il valore del benefit sarebbe nullo a prescindere dai chilometri personali. O ancora, se la percorrenza privata e aziendale fossero molto limitate, il valore del compenso in natura graverebbe ingiustamente quasi per intero sul lavoratore.

Un’equazione che meglio rappresenta le peculiarità delle auto (ma non è quella indicata dalle Entrate) è costituita dal rapporto tra utilizzo privato e totale moltiplicato il valore normale; in tal modo si può tener conto della ripartizione dei costi della vettura anche nel periodo di non utilizzo.

La conclusione

Sembra verosimile, tuttavia, che il legislatore non abbia voluto tracciare una terza via oltre alla disciplina vigente e a quella transitoria. Tra l’altro, per i veicoli più diffusi, ossia quelli con emissioni di Co2 superiori a 60 g/km ma non a 160 g/km, vecchia e nuova normativa coincidono (essendo l’imponibile, in entrambi i casi, pari al 30% del costo di 15.000 km desumibile dalle tabelle Aci), a differenza delle disposizioni generali i cui risultati possono essere molto variabili.

A questo punto, per risolvere ogni complessità, incertezza e iniquità, sarebbe sufficiente introdurre una norma di interpretazione autentica che riconducesse nella disciplina transitoria tutte le casistiche diverse da quelle contenute nella nuova.

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