Rapporti di lavoro

La sicurezza sul lavoro passerà dal vaccino

di Attilio Pavone

Può apparire paradossale che il tema della obbligatorietà o meno delle vaccinazioni nell’ambito del rapporto di lavoro abbia sollevato così tante discussioni in un momento in cui il vaccino anti-Covid è disponibile solo per una ristretta minoranza di cittadini. Ma è evidente che si tratta di una problematica che ogni impresa dovrà presto affrontare, e quindi mettere fin d’ora ai primi punti della propria agenda per il 2021.

Tuttavia è opportuno in primo luogo evitare ogni possibile equivoco sul ruolo dell’imprenditore in tale contesto. Il tema di cui si discute non è un ipotetico, e di per sé inesistente, potere generale e assoluto del datore di lavoro di costringere un proprio dipendente a vaccinarsi, ma semmai l’obbligo, previsto dalla legge (art. 2087 cod. civ.), di adottare tutte le misure necessarie al fine di tutelare l’integrità fisica dei lavoratori.

Appaiono quindi non del tutto pertinenti i dubbi basati sull’art. 32, comma 2, Cost., secondo cui nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario se non in forza di una disposizione di legge. Si tratta ovviamente di un principio inviolabile, ma che attiene ai rapporti fra i cittadini e lo Stato. Il tema oggetto di discussione dovrebbe invece essere il modo in cui l’imprenditore, titolare, responsabile e secondo la legge “capo” di una attività economica organizzata, adempie ai propri obblighi di protezione della salute dei lavoratori in ambito aziendale, valutando poi, se del caso, quali conseguenze trarre dalle scelte individuali dei propri dipendenti in tema di salute e sicurezza.

Quando il vaccino sarà accessibile per la generalità dei cittadini, e indipendentemente dalle scelte del legislatore in tema di obbligatorietà, non è affatto illogico immaginare che le imprese, in base ai diversi settori in cui operano e secondo le proprie modalità organizzative, prevedano e richiedano ai propri dipendenti, fra le misure a tutela propria della salute, anche la vaccinazione.

Il “Protocollo condiviso” per l’attuazione di misure di contrasto alla diffusione del virus negli ambienti di lavoro risale al mese di aprile scorso, e quindi non contempla l’ipotesi del vaccino, ma prevede che le misure ivi previste possano essere integrate da altre equivalenti o più incisive in base alle peculiarità organizzative aziendali, anche nell’ottica di scongiurare, ove possibile, sospensioni e chiusure i cui costi, in termini di ammortizzatori sociali straordinari, ricadono sulla collettività. E del resto anche l’obbligo di protezione previsto dal citato art. 2087 cod. civ. prevede che le misure a tutela della salute siano aggiornate in base a “esperienza e tecnica”; ora che il progresso scientifico ha reso disponibile il vaccino, è doveroso per le aziende prenderlo in considerazione.

Sarebbe però fuorviante appiattire la discussione a una sorta di referendum sull’obbligo vaccinale nel luogo di lavoro. Nel perdurare dell’emergenza legata alla pandemia, ma probabilmente anche in epoca successiva, per molte aziende sarà più semplice ricorrere ove possibile allo smart working. Inoltre non tutte le mansioni impongono un contatto diretto con i colleghi o con il pubblico, e il datore di lavoro può per ragioni organizzative anche modificarle (sebbene appaia irragionevole ipotizzare un obbligo di repêchage a fronte di un immotivato rifiuto del vaccino). Infine, l’uso di dispositivi di protezione individuale, così come una corretta gestione degli spazi aziendali, può in alcuni casi rendere meno rilevante la questione se un dipendente sia vaccinato o no.

Tuttavia, una volta ragionevolmente ristretto l’ambito entro il quale l’eventuale obbligo vaccinale sul lavoro sia rilevante, non si vede perché il vaccino non possa (e anzi debba) essere considerato una misura di prevenzione dei rischi indispensabile allo svolgimento della prestazione, in assenza la quale si possa ipotizzare una inidoneità al lavoro. Parimenti, non si vede perché un rifiuto immotivato da parte del dipendente non possa essere valutato dal punto di vista disciplinare, in linea con la severità da sempre mostrata dalla giurisprudenza del lavoro in tema di salute e sicurezza.

La questione non riguarda soltanto il rapporto di lavoro individuale, ma la corposa mole di obblighi gravanti sulle imprese in tema di salute e sicurezza, la cui violazione può determinare responsabilità civili e penali.

La difficoltà del momento impone una assunzione di responsabilità a tutti i livelli: dallo Stato ci si aspetta una celere ed efficiente distribuzione dei vaccini; da imprese, lavoratori e organizzazioni sindacali è lecito pretendere la creazione delle condizioni di una piena ripresa produttiva in sicurezza, con regole vaccinali ragionevoli ma senza tolleranza per obiezioni arbitrarie.

Questo articolo è stato pubblicato sull’edizione cartace del Sole 24 Ore del 9 gennaio. Il dibattito su vaccino anti Covid-19 e lavoro è iniziato con l’articolo dell’8 gennaio firmato da Giampiero Falasca

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