Rapporti di lavoro

Con poteri direttivi e sanzionatori l’algoritmo diventa datore di lavoro

di Giampiero Falasca

La grande trasformazione che sta attraversando il mondo del lavoro è legata a doppio filo all’evoluzione della gig e della sharing economy. Questi settori produttivi devono fronteggiare, più degli altri, la difficoltà di incasellare le nuove forme di lavoro dentro gli schemi tradizionali.

La difficoltà di ricondurre negli schemi classici i nuovi lavori non deriva solo dalle modalità molto innovative con le quali si svolge l’attività lavorativa in questi settori, ma deriva anche da un altro tema finora poco considerato, pur avendo un ruolo fondamentale nella vicenda: è difficile identificare chi vesta i panni del datore di lavoro.

Quando compriamo un servizio di consegna di cibo a domicilio, una prestazione di un libero professionista, un libro o un abbonamento televisivo, che ruolo svolge la piattaforma digitale di cui ci avvaliamo per gestire dall’inizio alla fine tutta la transazione e gli eventuali problemi successivi (dalla gestione dei reclami fino all’eventuale sostituzione di quanto acquistato)?

Volendo schematizzare al massimo i termini della questione, si possono ipotizzare due differenti ruoli della piattaforma digitale:

può agire come intermediario che si limita ad agevolare l’incontro tra la domanda e l’offerta di un bene o di un servizio, gestendo tutti gli aspetti connessi (pagamenti, reclami, e così via);

oppure può agire come soggetto che direttamente si impegna, mediante una propria forza lavoro (contrattualizzata con rapporti autonomi o subordinati, secondo i casi), a vendere all’utenza alcuni beni e servizi.

L’applicabilità dell’uno o dell’altro modello non si può decidere a priori, per il semplice motivo che la soluzione va ricercata analizzando caso per caso come si comporta la piattaforma digitale.

La piattaforma come impresa

La giurisprudenza ha iniziato a occuparsi del tema, arrivando a delle conclusioni ancora molto provvisorie – le sentenze sono poche, e manca ancora un intervento della Corte di cassazione, fondamentale per assicurare letture omogenee – ma comunque interessanti.

Una decisione importante è quella emanata il 24 novembre scorso dal Tribunale di Palermo, che ha riconosciuto la natura subordinata del rapporto intercorrente tra un rider e una piattaforma digitale.

Per arrivare a questa conclusione il giudice ha fatto una lunga e dettagliata analisi della natura della piattaforma digitale, avvalendosi anche di alcuni richiami al diritto comunitario, all’esito della quale ha dichiarato la natura di vera e propria «impresa» della piattaforma.

Fatta questa premessa, il giudice ha riconosciuto la natura subordinata del rapporto di collaborazione dei riders, ritenendo che alcune caratteristiche di funzionamento della piattaforma dovessero essere qualificate come forme di esercizio del potere direttivo. È stato considerato rilevante il fatto che solo accedendo alla piattaforma e sottostando alle sue regole il rider poteva svolgere le prestazioni di lavoro. Un altro elemento importante, secondo il Tribunale di Palermo, è che la piattaforma è soggetto che ha la disponibilità degli algoritmi e li programma.

Un ruolo fondamentale è stato attribuito, inoltre, ai meccanismi sanzionatori. L’algoritmo, secondo la sentenza, permette alla piattaforma digitale di esercitare il potere disciplinare tipico del datore di lavoro, in quanto l’attribuzione di un punteggio inferiore come reazione al verificarsi di determinati eventi costituisce una sanzione disciplinare atipica.

Infine, il giudice rileva che il funzionamento della piattaforma costringe il rider a mettere il proprio tempo a disposizione della piattaforma stessa, in quanto per ricevere incarichi dovrà essere loggato e trovarsi in prossimità dei locali commerciali partner, esattamente come accade nel lavoro subordinato.

Stop a discriminazioni

Un altro intervento sul tema è quello del tribunale di Bologna, con l’ordinanza del 31 dicembre scorso. Con questa pronuncia è stata riconosciuta la natura discriminatoria della condotta di un algoritmo utilizzato da una piattaforma digitale, il quale – secondo il giudice – penalizzava chi si assentava dal lavoro, non tenendo conto delle motivazioni, se si trattasse cioè di motivi futili o se invece, ad esempio, di casi di malattia o di lavoratori in sciopero.

La questione delle piattaforme digitali è ancora lontana dal trovare una soluzione definitiva, ma il messaggio che mandano queste sentenze è chiaro: anche se è dematerializzato e quasi invisibile, e pur in un contesto di grande innovazione tecnologica, il datore di lavoro resta sempre il soggetto che esercita il potere direttivo.

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