Rapporti di lavoro

Con lo sblocco il 20% di aziende farà licenziamenti

Cosa succederà se il 31 marzo terminerà il blocco dei licenziamenti economici previsto dal Decreto Cura Italia e dalle sue proroghe? Dalle risposte dei 404 direttori del personale sentiti da Aidp (si veda altro pezzo in pagina) il dato che emerge è che il 20% darà seguito ai licenziamenti previsti, rimasti congelati per via dei divieti. C’è poi un 24% che dice che non ha ancora maturato una decisione e resta in attesa di eventuali misure che verranno prese a sostegno delle imprese. Solo il 9% proseguirà con la cassa integrazione, mentre il 53,5% non ha previsto nessun licenziamento. Quindi, se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno, oltre la metà dei direttori delle risorse umane non licenzierà.

Il presidente di Aidp, Isabella Covili Faggioli osserva che «nel 2020 abbiamo perso 9 punti di Pil e adesso esiste un rischio concreto che un numero importante di persone, in primavera, possa ritrovarsi fuori dalle aziende. Mi confronto quotidianamente con i manager e quella percentuale del 20%, ossia uno su cinque, che dice di dover licenziare ha una sua spiegazione nel fatto che c’è una parte di fatturato che non esiste più e che non si sa se e quando potrà essere recuperata. Pensiamo a tutto il mondo del turismo e della ristorazione o ai centri commerciali». Non mancano però le storie di chi «sta facendo i salti mortali per evitare che si creino situazioni di disagio sociale - continua Covili Faggioli -. I manager stanno immaginando alternative che si stanno inventando non potendo contare sulle politiche attive. Così c’è chi sta facendo analisi dei fabbisogni del mercato per capire quali figure servono. Molti lavoratori dovranno reinventarsi e servirà molta formazione per riqualificarne le competenze. C’è la volontà di evitare che si creino situazioni di persone che hanno un reddito, per il momento, ma non si ricollocheranno mai più».

Il ruolo delle competenze diventa primario in un mercato così selettivo come quello attuale. «La formazione continua per l’occupabilità delle persone è il nuovo articolo 18 - estremizza la presidente di Aidp -. Serve però un grande lavoro anche culturale sulle persone perché spesse volte io, come altri manager, mi sono sentita dire dai potenziali candidati: sono in Naspi, mi chiami tra due anni. Bisogna creare uno spirito proattivo, se però sto a casa per due anni retribuito, senza fare formazione e senza seguire un percorso di reinserimento nel mercato del lavoro, è chiaro che nel momento in cui provo a reinserirmi sarà alta la probabilità di fallimento. Le situazioni di emergenza vanno sanate, ma con la consapevolezza che sono situazioni di emergenza, non di comodità».

Da sottolineare che c’è un quarto di aziende, secondo quanto emerge nel sondaggio, che potrebbero scegliere una via piuttosto che l’altra, a seconda degli strumenti che si troveranno a disposizione. Quali misure servirebbero per sostenere l’occupazione? La leva del costo del lavoro sembra essere decisiva. Tra le misure a sostegno delle imprese ritenute più utili per il sostegno all’occupazione e per mantenere i livelli occupazionali, circa l’82% dei manager hr ha indicato le misure di natura fiscale e previdenziale volte a ridurre il costo del lavoro. Per il 48,50% c’è la conferma della deroga dei contratti a termine acausali e per il 41,34% gli incentivi alle assunzioni per categorie di lavoratori, ossia giovani, donne e disoccupati. Il 20% circa ha chiesto la proroga della cassa integrazione Covid e il 22% la riforma dei centri per l’impiego. Oltre il 30%, infine, il potenziamento del contratto di espansione o di altre forme di incentivo ai prepensionamenti. Per la presidente di Aidp, «il dato del 24% di manager hr che deve ancora prendere delle decisioni è molto significativo e bisogna tenere conto del fatto che le decisioni che prenderanno dipenderanno da politiche attive e sgravi del costo del lavoro. Se c’è un costo del lavoro inferiore è chiaro che sarà possibile fare scelte meno drastiche».

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