Rapporti di lavoro

I manager espatriati (e i familiari) alla prova dei servizi sanitari

di Cristina Casadei

Screening e ascolto della popolazione, individuazione delle casistiche, definizione dei percorsi che facilitano l’accesso al vaccino e supporto di casi particolari. È questo, sintetizzato in quattro mosse, il percorso che le aziende dovrebbero prevedere per gli espatriati e i loro familiari. Un tema da affrontare sotto il duplice punto di vista dei lavoratori stranieri venuti a lavorare in Italia e dei lavoratori italiani che stanno invece lavorando all’estero. La campagna vaccinale in Italia è partita alla fine del 2020, dopo l’approvazione da parte dell’European Medicines Agency (EMA) del primo vaccino. Nell’agenda del piano strategico è stato previsto un ordine di priorità determinato in parte da criteri anagrafici, in parte dalla professione svolta. Come premessa va detto che secondo quanto disposto dal Governo non vi è l’intenzione di imporre l’obbligo della vaccinazione. Questa possibilità potrebbe però essere valutata nel corso della campagna e potrebbe subire delle variazioni. «Altri Paesi stanno valutando la possibilità di rendere il vaccino obbligatorio, perlomeno per chi intende entrare da un paese estero», spiega Maurizio Cicciù, responsabile dell’area People Tax&Labour di Mercer.

In tutti i casi, in Italia come negli altri paesi della Ue, per accedere al piano vaccinale, ad oggi, è prevista la prenotazione attraverso un applicativo o altri canali che prevedono l’iscrizione al servizio sanitario nazionale. «Un passo che non sempre chi lavora all’estero compie perché generalmente ha polizze sanitarie che hanno una copertura a 360° - osserva Cicciù -. Operativamente, oggi, si pone però un tema molto importante per le imprese, che dovrebbero garantire a tutti i loro lavoratori tempistiche analoghe nell’accesso ai vaccini, per ragioni di attenzione verso il lavoratore e per ragioni legate a quello che, in prospettiva, potrebbe essere uno strumento fondamentale per spostarsi. E cioè il passaporto vaccinale». In questo momento non è previsto il rilascio di un certificato internazionale di vaccinazione, ma una semplice certificazione di avvenuta vaccinazione. Istituzioni internazionali, come la Commissione Europea e l’Oms, sembra però che stiano valutando la proposta di un possibile certificato internazionale digitale.

Sebbene la profilassi e vaccinazione siano tra le prestazioni comunque garantite agli stranieri, anche se non iscritti al servizio sanitario nazionale, in concreto, dal momento che la gestione della campagna vaccinale a livello territoriale verrà attuata a livello Regionale e locale e che da tutta la fase emergenziale pandemica le ASL/ATS stanno svolgendo un ruolo centrale, «è possibile che la somministrazione del vaccino venga effettuata, almeno nelle prime fasi del piano che si basano sulla prenotazione, solo per coloro che sono registrati al sistema sanitario nazionale o che possano quantomeno dimostrare di soggiornare stabilmente in Italia - osserva Cicciù -. Questo vuol dire che l’essere titolari del solo codice fiscale potrebbe non essere sufficiente allo stato attuale. In caso contrario i soggetti non tracciabili dal sistema dovrebbero rientrare, in linea di principio, nei piani vaccinali dei rispettivi sistemi sanitari nazionali presso i quali risultano essere registrati. Questo però vorrebbe dire che le aziende dovrebbero fare rientrare le persone nel paese di provenienza per poter fare il vaccino, immaginando che siano iscritte al sistema sanitario nazionale». L’unico elemento certo che, ad oggi, garantirà la vaccinazione in Italia sembra quindi essere l’iscrizione degli stranieri presenti in Italia, a qualunque titolo, al sistema sanitario nazionale, poiché, essendo la campagna vaccinale gestita dal sistema sanitario pubblico, sarà in ogni caso precluso l’acquisto privato delle dosi vaccinali.

Se invece analizziamo il tema dal punto di vista dei lavoratori italiani in distacco in un paese diverso da quello di origine (con attuale presenza fisica all’estero o in Italia), che abbiano provveduto a cancellarsi dall’anagrafe italiana e di conseguenza dal sistema sanitario nazionale, la vaccinazione dovrebbe essere prevista nello Stato estero di destinazione, ma ci sono «differenze operative notevoli a seconda che lo stato interessato abbia stipulato o meno un accordo di sicurezza sociale con l’Italia - dice Cicciù -. All’interno dell’Unione europea gli espatriati saranno inclusi nei piani vaccinali. Il regolamento comunitario prevede che i cittadini italiani che si trovano temporaneamente all’estero avranno accesso al vaccino sul posto previa compilazione e rilascio di specifici moduli. Ma uscendo dalla Ue il quadro cambia da paese a paese e chiede quindi un’analisi per tempo del tema». Non dimentichiamoci che gli italiani all’estero non sono tutti in Europa o negli Stati Uniti. «Alcune aziende hanno popolazioni di lavoratori importanti in aree difficili, dove il vaccino arriverà in ritardo - prosegue Cicciù -. La tutela del lavoratore che oggi, per esempio, è espatriato per esigenze aziendali in Paesi della regione africana dove la campagna vaccinale arriverà in ritardo, non va sottovalutata perché il lavoratore non va discriminato rispetto ad altri che avranno accesso al vaccino prima».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©