Rapporti di lavoro

È il medico a valutare se il no al vaccino causa inidoneità

di Giampiero Falasca

Anche se i protocolli anti Covid non dicono nulla sull’obbligo vaccinale, le imprese si stanno interrogando sull’eventuale adozione di misure per imporre l’adesione dei dipendenti alla campagna vaccinale.

Misure che difficilmente potranno arrivare fino al licenziamento del dipendente, quanto meno fino a quando non sarà prevista una norma di legge che preveda l’obbligo di assumere il vaccino, anche se in alcuni casi specifici si potrebbe allontanare il dipendente non vaccinato dal luogo di lavoro, se tale situazione fosse di ostacolo alla sua idoneità alla mansione.

Un percorso, questo, che non si annuncia facile, come ha recentemente ricordato anche il Garante Privacy, perché il datore di lavoro non può trattare dati sanitari del dipendente, nemmeno in caso di vaccinazione, e anche nel contesto di emergenza creatosi con la pandemia. In particolare, il Garante ha ricordato che il datore di lavoro non può chiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale o copia di documenti che provino l’avvenuta vaccinazione anti Covid-19.

Ciò non è consentito dalle disposizioni dell’emergenza e dalla disciplina sulla tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, e non si può derogare al divieto neanche con il consenso dei dipendenti, in ragione dello squilibrio del rapporto tra le due parti. Questo concetto, troppo spesso dimenticato nelle discussioni di queste settimane, non impedisce qualsiasi intervento del datore di lavoro ma sposta l’onere di agire sul tema dei vaccini sul medico competente. Solo questa figura, essenziale nel sistema di prevenzione e tutela della salute dei dipendenti, può valutare se per alcune attività specifiche il rifiuto del vaccino possa compromettere l’idoneità del lavoratore alla mansione: un giudizio che può essere formulato nell’ambito della “sorveglianza sanitaria” che ogni azienda è tenuta ad attuare, su richiesta dal datore di lavoro o durante i controlli periodici.

Un giudizio che il medico può e deve formulare senza condizionamenti del datore di lavoro, e che deve riguardare la compatibilità tra la mancata vaccinazione del dipendente e la mansione specifica alla quale è assegnato.

Il medico potrebbe, quindi, giudicare parzialmente o totalmente inidoneo allo svolgimento della professione di infermiere il lavoratore non vaccinato, cosi come potrebbe ritenere ininfluente la mancata applicazione della profilassi rispetto a un impiegato che non opera a contatto con i colleghi e con il pubblico.

Se il medico dichiara inidoneo il lavoratore, il datore può sospendere dal lavoro il dipendente, ma solo dopo aver verificato se è possibile adibirlo a mansioni diverse. Se questa possibilità non esiste, il datore può procedere con la sospensione temporanea dal servizio e dalla retribuzione. Un percorso complicato e non privo di incertezze, superabili solo con un intervento deciso del legislatore. In mancanza di questo intervento, le imprese dovranno “rifugiarsi” nell’applicazione integrale e corretta dei protocolli sanitari vigenti, oltre ad ascoltare le indicazioni del medico competente, evitando fughe in avanti che le potrebbero esporre a rischi legali rilevanti.

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