Rapporti di lavoro

Aziende sanzionate per errori dovuti ai dipendenti sul massimale

di Enrico D’Onofrio e Barbara Massara

A turbare ancora di più la già precaria situazione delle aziende è intervenuto l’Inps che a, partire da fine dicembre 2020, ha inviato a molti datori di lavoro (comprese alcune società pubbliche) comunicazioni aventi a oggetto la richiesta di versamento di contributi previdenziali derivanti dall’erronea applicazione, per gli anni 2015 e 2016, del massimale contributivo previsto dall’articolo 2, comma 18, della legge n. 335/1995.

Secondo tale disposizione, infatti, il massimale – che costituisce il valore, annualmente rivalutato, oltre il quale la retribuzione non deve essere assoggettata a prelievo di contributi previdenziali – è limitato ai lavoratori privi di anzianità contributiva riferibile a periodi anteriori al 1° gennaio 1996.

Per consentire l’attuazione di tale disposizione, i datori di lavoro devono acquisire dai dipendenti una dichiarazione attestante l’esistenza o meno di periodi contributivi antecedenti al 1° gennaio 1996, anche se relativi a una qualsiasi altra gestione pensionistica obbligatoria (ad esempio, Casse di previdenza dei liberi professionisti) o derivanti da riscatti, ricongiunzioni, oppure opzioni in favore del regime pensionistico contributivo.

Laddove queste ultime situazioni dovessero verificarsi nel corso del rapporto, il lavoratore è tenuto a comunicare la variazione all’azienda al fine di consentirle di aggiornare il regime contributivo applicabile.

In presenza di contributi o periodi accreditati anteriormente al 1° gennaio 1996, i datori di lavoro devono sottoporre a contribuzione pensionistica l’intera retribuzione, senza applicare il massimale contributivo.

Con il messaggio 5062 del 31 dicembre 2020, adottato in occasione delle comunicazioni di irregolarità relative agli anni 2015 e 2016, l’Inps ha illustrato le diverse situazioni che hanno generato tali anomalie.

Le casistiche individuali sono ovviamente varie, ma si possono delineare i seguenti tratti ricorrenti:

- dipendenti che hanno omesso di dichiarare al datore di lavoro una contribuzione versata presso l’istituto nazionale di previdenza relativa a brevi periodi di lavoro anteriori al 1° gennaio 1996 oppure versata presso altre casse previdenziali (ad esempio Inpgi, ex Enpals eccetera);

- dipendennti che, precedentemente o successivamente alla dichiarazione resa al datore di lavoro, hanno presentato domande di riscatto contributivo riferite a periodi anteriori al 1° gennaio 1996 (laurea, servizio militare eccetera), senza comunicarlo all’azienda.

In tutti questi casi, l’Inps ha chiesto ai datori di lavoro di regolarizzare la posizione con versamento della contribuzione relativa agli anni 2015 e 2016, intimando altresì il pagamento delle sanzioni civili per omessa contribuzione, misura quest’ultima ingiusta e fortemente penalizzante per le aziende.

Infatti, il datore di lavoro non ha accesso ai dati pregressi della posizione previdenziale del dipendente.

Se, quindi, per l’applicazione del massimale rileva esclusivamente l’assenza di periodi contributivi anteriori al 1° gennaio 1996, le sanzioni non possono essere intimate a un soggetto che non è responsabile dell’inadempimento.

Del resto, nei casi menzionati, l’azienda si trova a ignorare incolpevolmente la situazione previdenziale del lavoratore e ciò incide sull’imputabilità dell’inadempimento al datore di lavoro, escludendola.

Conseguentemente, se la prestazione previdenziale può essere adempiuta mediante la regolarizzazione della posizione, non è esigibile dal datore di lavoro anche il pagamento della sanzione per un inadempimento a lui non imputabile.

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