Rapporti di lavoro

Licenziamento o dimissioni di fatto se il dipendente non si presenta più in azienda

di Giuseppe Pirinu

La questione concernente l'obbligo di ricondurre la fattispecie della reiterata mancata reiterata prestazione lavorativa del lavoratore subordinato a tempo indeterminato, alla ipotesi di assenza ingiustificata, piuttosto che a quella di dimissioni di fatto, si presta a interpretazioni piuttosto dibattute in dottrina e giurisprudenza, con posizioni tutt'altro che definite. Tutto ciò è generato dalla mancanza di una norma che possa dedurre, dal comportamento concludente del lavoratore, la via da seguire senza incappare in incidenti di percorso.

L'articolo 26 del Dlgs 151/2015 prevede che le dimissioni, e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, siano fatte «a pena di inefficacia esclusivamente con modalità telematiche». Ciò postula, per il lavoratore, la necessità di provvedere direttamente a tale incombenza o di rivolgersi a sindacati, patronati o professionisti autorizzati. All'esito della procedura il datore di lavoro riceve il modulo telematico nella sua Pec, così come l'Ispettorato territoriale del lavoro.Fin qui nulla quaestio.

Piuttosto, se il lavoratore non rende il predetto modulo telematico e, senza alcun preavviso non si presenta al lavoro, mancando per un numero di giorni tali da ritenere l'assenza da giustificare, costringe il datore di lavoro a mettere in atto l’azione disciplinare prevista dall’articolo 7 della legge 300/1970. Ciò implica l'obbligo di contestare l'assenza, ascrivere cinque giorni per le giustificazioni del caso e, all'esito delle stesse o in mancanza, infliggere la massima sanzione disciplinare consistente nel licenziamento per giusta causa. Questo determina, per il datore di lavoro, l'obbligo di pagare il ticket licenziamento, trattandosi di una interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato diversa dalle dimissioni volontarie o consensuali. L'importo del ticket, a prescindere dal fatto che il rapporto sia full time o part time, equivale a 503,30 euro per ogni anno di anzianità del lavoratore con un massimo di tre anni.

Inoltre, ove l'assenza sia considerata giustificato motivo soggettivo e non giusta causa (come previsto in alcuni Ccnl) rimane a carico del datore anche il pagamento dell'indennità di mancato preavviso. Infine, la possibilità per il lavoratore di accedere alla Naspi.

La situazione così determinatasi potrebbe prestarsi a facili forzature. Si pensi, ad esempio, a un lavoratore che non intenda più prestare opera per un certo datore e, conscio del fatto che con le dimissioni non potrebbe accedere alla Naspi, rimanga assente senza alcun preavviso, generando così, come sopra detto, un meccanismo che porta ad un aumento spropositato di costi per il suo datore di lavoro. Il tutto con il solo fine di accedere all'ammortizzatore sociale. Tra i costi, è bene non dimenticarlo, nel caso in cui il licenziamento venga considerato giustificato motivo soggettivo, vi è da considerare che tale tipologia di licenziamento rileva tra i decrementi occupazionali ininfluenti ai fini del calcolo della Ula. Pertanto, ove venga applicato in azienda un beneficio contributivo soggetto a tale meccanismo, si potrebbe anche perdere il diritto all'agevolazione.

La necessità, evidente, di una specifica disposizione di legge che ridefinisca la fattispecie di assenza ingiustificata riconducendola a quella delle dimissioni di fatto (o per fatti concludenti), pare essere davanti agli occhi di tutti. Infatti, l'atteggiamento del lavoratore che si assenta arbitrariamente, non può che interpretarsi coma la volontà dello stesso di abbandonare l'azienda.Probabilmente il legislatore è stato scoraggiato dalla posizione della Corte di cassazione, che ha censurato alcune disposizioni contrattuali e regolamentari, ascriventi a determinati comportamenti concludenti il significato di una certa volontà del lavoratore (sentenze 16507/2013 e 1025/2015). In altre occasioni, i giudici hanno tenuto un atteggiamento più morbido (sentenza 12549/2003) affermando che «la volontà di recesso può essere dallo stesso (il lavoratore) esternata , anche implicitamente, con un determinato comportamento, tale da lasciarla presumere, come la cessazione delle prestazioni dovute in base al rapporto».

Anche la sentenza 25583/2019 enuncia un principio secondo il quale il recesso volontario del lavoratore può dedursi anche da una dichiarazione o comportamento che evidenzi in maniera inequivocabile la volontà del lavoratore di voler concludere il rapporto. In questa direzione, inoltre, il Tribunale di Udine (sentenza 106 del 30 settembre 2020), che ha ritenuto illegittimo il comportamento del lavoratore in quanto, "dimessosi a voce", non aveva provveduto a rassegnare le dimissioni attraverso il prescritto modulo telematico e aveva abbandonato il posto di lavoro.

Il ministero del lavoro, dal canto suo (interpelli 29/2013 e 13/2015), ha sposato il principio secondo cui debbano essere ammessi al trattamento di Naspi, e, per l'effetto, obbligando il datore di lavoro a pagare il ticket, anche i lavoratori licenziati per motivi disciplinari. Alcuni Ccnl hanno previsto come dimissioni di fatto il comportamento concludente del lavoratore che si assenta, senza fornire giustificazione, per un certo numero di giorni. Ma, a parere di chi scrive, non sembra questa iniziativa supportata da alcun riferimento normativo e suscettibile comunque di contestazione da parte del lavoratore. Al momento, anche per quanto stabilito nella Faq 33 del ministero del Lavoro presente sul portale Clic lavoro relativamente all'argomento dimissioni telematiche, il datore di lavoro se vuole fare a meno del dipendente, nel caso in argomento, deve porre fine al rapporto solo attraverso il licenziamento.

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