Rapporti di lavoro

Green pass nella Pa verso i controlli affidati ai responsabili degli uffici

di Gianni Trovati

Sull’introduzione del green pass per il pubblico impiego le uniche incognite residue riguardano i tempi. Ma sono incognite che si muovono su margini stretti, perché il certificato verde è la leva per il ritorno del lavoro ordinario in presenza su cui il ministro della Pa Renato Brunetta sta spingendo da settimane (come anticipato dal Sole 24 Ore del 1° settembre).

La sintesi politica, con la Lega ma anche con i Cinque Stelle che difendono il lavoro a distanza, andrà trovata nei prossimi giorni in cabina di regia. Ma il cronoprogramma del governo punta a un intervento tra questa settimana e al massimo la prossima, con una decorrenza breve (l’ipotesi al momento è il 1° ottobre) per dar tempo alla minoranza di dipendenti non vaccinati di provvedere. Nel lavoro preparato dai tecnici del governo l’applicazione del green pass per andare in ufficio è generalizzata. La Lega, nell’ormai consueto tira e molla sulle misure anti-pandemia, ipotizza una distinzione che limiti l’obbligo di certificato ai dipendenti allo sportello, in quanto a contatto con il pubblico, escludendo chi lavora nel back office. Ma questo confine, complicato da costruire sul piano epidemiologico perché gli ambienti di lavoro sono in genere condivisi, sembra impossibile da tracciare anche sul piano normativo, perché soprattutto negli enti locali sono molti i dipendenti che lavorano in parte allo sportello e in parte nelle retrovie degli uffici.

Nelle intenzioni condivise da Palazzo Chigi, poi, il pubblico impiego può rappresentare la leva anche per l’estensione del certificato obbligatorio nel mondo privato. Perché nelle stanze di un ente pubblico il virus si comporta esattamente come nei locali di un’azienda. Tanto più che con il decreto approvato giovedì scorso la richiesta del certificato ha cominciato a fare capolino fuori dalla Pa rivolgendosi agli operatori esterni di scuole e residenze sanitarie.

A distinguere il mondo pubblico da quello privato sono il sistema sanzionatorio e gli strumenti per introdurlo. Nel pubblico impiego il modello è quello della scuola, con la sospensione dello stipendio dopo 5 giorni di assenza per chi rifiuta anche la via del tampone e il controllo affidato ai presidi.

L’idea è di replicare un impianto analogo a tutto il pubblico impiego, affidando la titolarità dei controlli ai responsabili delle singole unità organizzative. Le ricadute applicative non sono banali, ma questa sembra la strada maestra.

Non va dimenticato, del resto, che il green pass ottenuto con il vaccino va controllato una sola volta, rimandando le verifiche successive alla scadenza, che in nessun caso arriverà prima della prossima primavera. E che quindi i problemi operativi più importanti riguardano i non vaccinati; una minoranza oggi stimata nei dintorni del 10% del pubblico impiego, e destinata a ridursi ulteriormente nelle prossime settimane anche grazie al green pass per l’ufficio.

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