Rapporti di lavoro

Le soft skills del capo ibrido? Primo ascoltare e poi comunicare

di Cristina Casadei

Primo, imparare ad ascoltare i collaboratori. Poi comunicare efficacemente. Motivarli. Coinvolgerli. Stabilire obiettivi chiari e misurare i risultati del team. Marco Ceresa, group ceo di Randstad Italia conta sulle dita di una mano le caratteristiche che dovranno avere i capi nella nuova normalità, a cui tutti ci stiamo preparando. «Per adattarsi e avere successo in questa nuova normalità i manager devono essere “remote leader”, cioè leader capaci non soltanto di essere dei “capi” ma soprattutto di prendersi cura delle persone che guidano, in presenza e a distanza». Già perchè in futuro il lavoro sarà sempre più così e il suo carattere ibrido influenzerà soprattutto lo stile di leadership. Per l’hr trends & salary survey, Randstad professionals, in collaborazione con l’Alta Scuola di Psicologia Agostino Gemelli dell’Università Cattolica, ha intervistato 350 direttori delle risorse umane, per ricostruire le tendenze che ci aspettano nei prossimi mesi.

Lo smart working

Dalle interviste emerge che allo scoppio dell’emergenza sanitaria soltanto il 18% delle imprese ha continuato a lavorare in presenza, il 19% ha introdotto o potenziato lo smart working per tutti i dipendenti e il 53% per almeno una parte dei lavoratori. In un terzo delle aziende che ha adottato il lavoro a distanza, questo era già presente ed è stato potenziato, mentre il 67% lo ha introdotto a seguito della crisi Covid. L’86% ha continuato a utilizzare lo smart working nel 2021, con il 66% che continuerà a utilizzarlo anche in futuro e il 20% che invece ha intenzione di interromperlo. Mediamente oggi lavora in modalità agile il 54% della forza lavoro per una media di 2,5 giorni a settimana. Amministrazione e contabilità (86%), hr (81%), it (71%), marketing e comunicazione (70%) e vendite e contatto con il pubblico (67%) sono le funzioni aziendali più coinvolte nel lavoro da remoto. Tra le conseguenze del lavoro ibrido c’è anche il fatto che quasi un’azienda su due ha in programma un ripensamento degli spazi di lavoro, di cui il 13% con lo scopo di diminuire gli spazi, alla ricerca di maggiore efficienza, e il 34% con l’obiettivo di ottimizzarli.

I remote leader

Se la prospettiva ci dice che in due terzi delle imprese si lavorerà in maniera ibrida, questo significa che insieme al lavoro, anche la leadership dovrà essere esercitata sempre più da remoto. E chiederà nuove competenze da parte dei manager. «Parliamo sempre più spesso dell’importanza delle soft skills - interpreta Maria Pia Sgualdino, head of professionals in Randstad Italia - quando generalmente ci rivolgiamo ai candidati. Ma lo stesso concetto vale anche per chi siede dall’altra parte. Il remote leader deve avere maggiore capacità di ascolto, empatia e capacità comunicativa rispetto a qualità più “tradizionali” un tempo più richieste, come la capacità di visione o l’autorevolezza. La restituzione del feedback e la condivisione degli obiettivi, per esempio, in un momento così particolare sono strumenti quasi necessari che solo la metà delle aziende mette in campo». La capacità di ascolto e l’empatia possono sicuramente essere considerate caratteristiche condivise con i manager tradizionali, fondamentali per quasi un quarto dei capi, ma ai nuovi “remote leader” sono richieste caratteristiche diverse (si veda l’infografica). Per esempio la capacità di comunicare efficacemente (24%), di coinvolgere i collaboratori (19%), l’abilità di gestione e pianificazione che deve essere più alta, così come la capacità di costruire legami di fiducia. O l’attenzione alla misurazione dei risultati.

Le iniziative

Le principali iniziative che i remote leader hanno messo in campo per mantenere il senso di appartenenza all’azienda sono la rotazione delle presenze (58%), momenti di condivisione formali (52%) e informali (49%), monitoraggio e iniziative di engagement (31%) e proposte formative per la gestione del lavoro ibrido (22%). Più della metà ha avviato azioni per la condivisione degli obiettivi aziendali e personali con maggiore frequenza (50%), per la condivisione di feedback (55%) e per stimolare la costruzione e il mantenimento dei legami fra colleghi (56%), mentre solo un quarto ha promosso momenti per il recupero delle energie (26%).

Il senso del lavoro

Cambiamenti di portata così profonda e radicale come quello che stiamo vivendo «toccano il tema identitario - osserva Caterina Gozzoli, direttore del’alta scuola di Psicologia Agostino Gemelli dell’Università Cattolica -. Essere professionisti e pensare di esserlo in un certo modo viene scosso e messo in discussione. Per questo i lavoratori hanno oggi bisogni più o meno accentuati di essere aiutati a capire e costruire un nuovo senso del proprio lavoro». Più che trovare un equilibrio tra vita e lavoro, questo significa «trovare un equilibrio tra pratiche e significati di valore del precedente modo di lavorare, e spazio e tempo di sperimentazione. Va individuato e compreso cosa sia necessario/utile lasciare andare per trovare possibilità più funzionali e sostenibili». Per i manager delle risorse umane il percorso per ridare senso al lavoro dovrà «accogliere e trattare eventuali resistenze e fatiche delle proprie risorse umane e orientare in stretta connessione e coerenza con il management verso obiettivi sostenibili e condivisi».

Sotto la lente

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©