L'esperto rispondeRapporti di lavoro

ANF e figli residenti all'estero

di Antonio Carlo Scacco

La domanda

L'INPS accetta l'inserimento dei familiari residenti all'estero (in paesi senza trattati di reciprocità) nei nuclei familiari di lavoratori subordinati stranieri lungo soggiornanti in italia?

L’articolo 2 co. 6-bis del decreto legge 69/1988 stabilisce che “Non fanno parte del nucleo familiare … il coniuge ed i figli ed equiparati di cittadino straniero che non abbiano la residenza nel territorio della Repubblica, salvo che dallo Stato di cui lo straniero è cittadino sia riservato un trattamento di reciprocità nei confronti dei cittadini italiani ovvero sia stata stipulata convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia.”. Sulla base di questa norma le sedi territoriali dell’INPS non riconoscono l’ANF ai familiari del lavoratore extracomunitario (sia pure in possesso di soggiorno di lunga durata) non residenti in Italia, ovvero per i periodi durante i quali se ne siano allontanati (ad es. per motivi di studio). Il diniego, impugnato presso il giudice competente, è stato censurato sotto svariati profili. Sul punto, infatti, è intervenuta la direttiva 2003/109/CE (recepita con decreto legislativo 3/2007) il cui articolo 11 co. 1 e 4 dispone che "il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso trattamento del cittadino nazionale per quanto riguarda (...) le prestazioni sociali, l'assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione sociale (...)”. L’INPS si è difeso sostenendo che l’ambito di operatività di tale ultima norma non comprenderebbe l’assegno al nucleo familiare non appartenendo lo stesso al sistema di assistenza sociale e non configurandosi come “prestazione sociale assistenziale essenziale”, essendo semmai una prestazione previdenziale. Ma tale interpretazione è chiaramente smentita da Cass 6351/2015 che invece ne ha confermato il carattere genuinamente assistenziale attesa la natura dell’istituto mirata alla redistribuzione del reddito, attraverso un sistema di trattamenti in favore di quelle famiglie che si mostrano effettivamente bisognose sul piano finanziario. In quanto tale, ovvero come sostegno di reddito minimo che garantisce un’entrata ulteriore alle famiglie realmente bisognose, la prestazione si configura anche come “essenziale”. La stessa Corte di Giustizia Ue ha avuto modo di rimarcare come la parità di trattamento nei settori disciplinati dal menzionato articolo 11 a favore dei cittadini di paesi terzi stabilitisi a titolo duraturo negli Stati membri ha carattere di regola generale. Il diritto all’assistenza sociale volto a garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti, è assicurato dall’Unione conformemente all’articolo 34 della Carta di Nizza e le prestazioni che vi fanno riferimento non possono non essere considerate tra le prestazioni essenziali di cui all’articolo 11 della direttiva 2003/109/CE (causa C571/10, Kamberaj). Alla luce di tale ricostruzione normativa e giurisprudenziale il diniego dell’INPS, nei casi indicati, appare illegittimo tenuto anche conto della della diretta applicabilità (cd. autoesecutività) della norma europea in quanto sufficientemente precisa ed incondizionata, ossia suscettibile di immediata applicazione da parte dello Stato membro senza necessità di ulteriori indagini. Sarebbe pertanto auspicabile una chiara presa di posizione dell’Istituto previdenziale in tal senso, non fosse altro per la palese discriminazione che la norma di cui al decreto legge 69/1988 opera tra i diritti del lavoratore extracomunitario e quello italiano. Si segnala che, da ultimo, Cass. 1 aprile 2019, n. 9022 ha rimesso alla Corte di Giustizia europea la decisione della questione.

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