di Gallo Mario

La domanda

L'azienda può comunicare ai dipendenti quali sono i disabili ai fini della sicurezza sul lavoro?

Nel rispondere al quesito posto dal gentile lettore occorre preliminarmente osservare che il quadro normativo in materia si presenta alquanto complesso con l'intreccio, per altro, di diversi diritti; in particolare, la legge 12 marzo 1999, n. 68, disciplina il diritto al lavoro dei disabili, stabilendo a carico dei datori di lavoro anche specifici obblighi finalizzati alla loro occupazione, a cui si affiancano, tra l'altro, le disposizioni del Regolamento (UE) 2016/679, in materia di protezione dei dati personali, e quelle del D.Lgs. 9 aprile 2008, n.81, in materia antinfortunistica, che obbligano il datore di lavoro sia a valutare tutti i rischi per la salute e la sicurezza a cui sono esposti i lavoratori, sia a identificare e applicare le correlate misure di prevenzione e protezione. Tale sistema di tutele del lavoratore disabile implica, pertanto, molteplici profili da bilanciare; in primo luogo, si fa osservare di come, in termini generali, il lavoratore non sia tenuto a fare rivelazioni al datore di lavoro sul suo stato di salute o sulla propria condizione d'invalidità e/o handicap; infatti, il cd. diritto alla riservatezza dei dati personali, in particolare dei dati sensibili come quelli che riguardano lo stato di salute e, in generale, sulla propria condizione individuale trovano un'ampia tutela sia da parte del già citato Regolamento (UE) 2016/679, che da parte del D.Lgs. n.196/2003. E' pur vero, tuttavia, che il nostro ordinamento consente al datore di lavoro di effettuare verifiche sull'idoneità fisica del lavoratore, sia pure a determinate condizioni; infatti, l'art. 5 della legge n.300/1970, gli riconosce espressamente la facoltà di far controllare tale idoneità da parte di enti pubblici e istituti specializzati di diritto pubblico. Per altro, non va nemmeno dimenticato che l'art.10, c.3, della citata legge n.68/1999, prevede che nel caso di aggravamento delle condizioni di salute o di significative variazioni dell'organizzazione del lavoro, il lavoratore disabile può chiedere che venga accertata la compatibilità delle mansioni a lui affidate con il proprio stato di salute, così come il datore di lavoro può chiedere che vengano accertate le condizioni di salute della persona con disabilità per verificare se, a causa delle sue minorazioni, possa continuare ad essere impiegata presso l'azienda. A tutto ciò si aggiunge, poi, il già richiamato D.Lgs. n.81/2008, che all'art.18, c.1, lett. c), stabilisce che il datore di lavoro (e il dirigente) nell'affidare i compiti ai lavoratori deve “tenere conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza”. Deve sussistere, quindi, da un punto di vista sanitario l'idoneità alla specifica mansione cui deve essere adibito il lavoratore che, per effetto di quanto prevede l'art.41, è espressa dal medico competente che, tenuto conto delle minorazioni, formulerà il proprio giudizio, anche con prescrizioni e limitazioni che devono essere notificate al datore di lavoro oltre che al lavoratore stesso. Per altro, non va nemmeno dimenticato che l'art.20 del D.Lgs. n.81/2008, obbliga il lavoratore a collaborare con il datore di lavoro; pertanto lo stesso è tenuto a fornire le informazioni sul proprio stato di salute o condizione di invalidità e/o handicap nei limiti previsti dalla vigente normativa, finalizzate a consentire al medico competente di formulare il predetto giudizio. In merito è bene precisare che come affermato dal Garante della Privacy nelle Linee guida “Il ruolo del “medico competente” in materia di sicurezza sul luogo di lavoro, anche con riferimento al contesto emergenziale” del 14 maggio 2021 “ in tale quadro normativo il medico competente “....non tratta i dati per conto del datore di lavoro ma, in qualità di titolare del trattamento (artt. 4, n. 7 e 24 del Regolamento), in base a specifiche diposizioni di legge finalizzate anzitutto al perseguimento dell'interesse pubblico di tutela della salute nei luoghi di lavoro e della collettività” ed è “.....l'unico legittimato a trattare in piena autonomia e competenza tecnica i dati personali di natura sanitaria indispensabili per lo svolgimento della funzione di protezione della salute e sicurezza dei luoghi di lavoro, non potendo informazioni relative, ad esempio, alla diagnosi o all'anamnesi familiare del lavoratore essere in alcun modo trattate dal datore di lavoro, se non nella misura del mero giudizio di idoneità alla mansione specifica e delle eventuali prescrizioni che il professionista fissa come condizioni di lavoro (arg. art. 25, comma 1, lett. i) che prevede che il medico “comuni[chi] al datore di lavoro […] i risultati anonimi collettivi della sorveglianza sanitaria”)”. L'attuale sistema normativo, quindi, è orientato a contemperare le esigenze di tutela del diritto alla riservatezza con quelle di tutela della salute con il risultato che le informazioni sulla condizione d'invalidità e/o handicap del lavoratore ai fini della sicurezza sul lavoro sono trattate dal medico competente che le utilizzerà per esprimere il giudizio d'idoneità alla mansione, indicando le necessarie prescrizioni e le limitazioni. Sulla base del giudizio espresso il datore di lavoro (o suo delegato per la sicurezza o dirigente competente) anche “in considerazione di quanto disposto dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, in relazione ai giudizi di cui all'articolo 41, comma 6, attua le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un'inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza”; per altro, in virtù anche di quanto prevedono gli artt. 18, c.1, lett. c) e 19 del D.Lgs. n.81/2008, delle eventuali prescrizioni e limitazioni espresse nel predetto giudizio (es. limitazioni in materia di movimentazione manuale dei carichi) si ritiene che è necessario che ne siano informati anche il dirigente oltre che il preposto competenti, per quanto strettamente necessario a garantire per il primo l'attuazione e il controllo delle direttive organizzative del datore di lavoro e per il secondo il corretto esercizio delle funzioni di sovraintendimento e di vigilanza. Inoltre, in virtù di quanto stabiliscono gli artt. 18, c.2 e 33 del D.Lgs. n.81/2008, poiché l'impiego del lavoratore disabile implica anche l'individuazione dei fattori di rischio, la loro valutazione e la predisposizione delle correlate misure di sicurezza – anche a tutela dei lavoratori e dei terzi – si può ritenere che dette informazioni debbano essere rese note, entro i predetti limiti, anche al Servizio di Prevenzione e Protezione. Di conseguenza l'attuale disciplina non pare che consenta la comunicazione d'informazioni sulla condizione d'invalidità e/o handicap del lavoratore a soggetti della prevenzione diversi da quelli richiamati, fermo restando che ogni trattamento e comunicazione è consentita nei limiti previsti dalla vigente normativa e per quanto strettamente necessario a contemperare il diritto alla riservatezza con la necessità di tutela della salute e la sicurezza sia del lavoratore interessato, sia dei colleghi che dei terzi.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©