Agevolazioni

Produttività, decontribuzione in arrivo con arrivo regole più semplici ma la platea si restringe

di Alessandro Rota Porta

È sicuramente da salutare con favore la volontà, emersa in queste settimane di preparazione della “manovrina”, di aumentare l’appeal per i contratti di secondo livello che prevedono la partecipazione dei lavoratori. Tuttavia, questa impostazione della decontribuzione per le aziende presenta anche qualche aspetto critico.

Ma andiamo con ordine. La nota positiva è sicuramente il ripristino di una misura cara alle imprese perché incentiva la corresponsione di elementi premiali collettivi, attraverso una riduzione degli oneri contributivi: in questo caso non sarebbe soltanto il lavoratore a godere del beneficio della detassazione al 10% delle erogazioni incentivanti ma ne trarrebbe un vantaggio, in termini di costo, anche il datore. Non si tratta di una novità assoluta perché il regime contributivo agevolato sui premi di risultato era già previsto e addirittura era stato messo a regime dalla riforma Fornero del 2012, con una dote annuale di 650 milioni di euro.

Nell’ambito di questa regolamentazione, agganciata ai criteri della legge 247/2007, la misura della decontribuzione era demandata all’emanazione annuale di un decreto Lavoro-Economia. Questo meccanismo ha riconosciuto gli sconti contributivi fino agli emolumenti incentivanti corrisposti nel 2014, per poi uscire di scena a causa dello svuotamento delle risorse.

Venendo al restyling che si prospetta oggi, la norma prevede il taglio del 20% della contribuzione Inps sul datore di lavoro sui premi di risultato, fino a 800 euro: i premi devono essere regolati da accordi collettivi, di ammontare variabile la cui corresponsione sia legata a incrementi di produttività misurabili e verificabili sulla base dei criteri definiti con il Dm del 25 marzo 2016. Lo sconto scatterà, però, soltanto per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro, attraverso un piano che stabilisca, ad esempio, la costituzione di gruppi nei quali operano responsabili aziendali e lavoratori, diretto al migliorare o innovare aree produttive o sistemi di produzione e che prevedono strutture permanenti di consultazione e monitoraggio degli obiettivi da perseguire e delle risorse necessarie nonché la predisposizione di rapporti periodici che illustrino attività svolte e risultati. Non dovrebbero rientrare in questo perimetro i gruppi di lavoro di semplice consultazione, addestramento o formazione.

La nuova decontribuzione, così come prevista dalle bozze della “manovrina”, risulta economicamente più vantaggiosa rispetto all’ultima versione del 2014, almeno in caso di retribuzioni non particolarmente elevate, oltre ad avere il pregio di essere fissata in modo chiaro.

Suscita, invece, qualche perplessità l’ambito applicativo. Infatti, non solo la previsione avrà effetto per i contratti di produttività stipulati dopo l’ entrata in vigore del decreto ma – essendo correlata al solo coinvolgimento paritetico – rischia di tagliare fuori gran parte delle Pmi che spesso non hanno meccanismi paritetici o, addirittura, hanno dato vita alle politiche premiali agganciandosi a intese quadro territoriali (in assenza di contrattazione interna).

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