Agevolazioni

Capire il ruolo giusto prima di moltiplicare fondi e addetti

di Francesco Verbaro

Il dibattitto sul potenziamento dei centri per l’impiego, finalizzato a rendere effettivo e quindi attivabile il reddito di cittadinanza, chiama in causa il ruolo dello Stato e la sua funzione rispetto alle priorità dell’economia e della società oggi. Per attivare una politica passiva, quale è il reddito di cittadinanza, condizionata da un comportamento responsabile del beneficiario, si propone di investire circa 2 miliardi nei centri per l’impiego.

Una scelta del genere, però, richiederebbe a monte alcune riflessioni. La prima riguarda lo stato attuale dei centri per l’impiego. Dipendono ormai dalle Regioni e quindi ci sono tanti modelli locali e disparati livelli di performance anche per un lungo abbandono derivante da ultimo dalle uscite del personale.

Secondo: quali servizi devono assicurare? Direttamente o con partenariati? Se bisogna erogare i servizi di intermediazione e quelli elencati nel Dlgs 150/2015, occorre tenere conto che l’organizzazione del lavoro è oggi autoreferenziale, vecchia e non orientata a servizi avanzati.

Senza queste (e altre) riflessioni, affermare che servono 50mila dipendenti per rafforzare i centri oppure 200mila dipendenti nelle pubbliche amministrazioni del Sud, come sostenuto dai governatori meridionali, diventa un esercizio da cabala.

Ci troviamo quindi di fronte a una scelta politica per verificare se questo intervento pubblico si giustifica oggi in termini di costi e benefici. Di solito l’intervento dello Stato si giustifica in presenza di un fallimento del mercato. Ma qual è il fallimento nel nostro mercato del lavoro rispetto alle funzioni tipiche di un centro per l’impiego? Certamente c’è un grave problema di disoccupazione giovanile, e un altro di mismatch tra domanda e offerta. Al Sud un’offerta spesso poco qualificata resta intrappolata in uno stato di precariato e disoccupazione di lungo periodo, mentre sempre più giovani emigrano al Nord e all’estero. Al Nord la domanda delle imprese, sempre più qualificata, comincia a non trovare professionalità adeguate e chiede un’offerta più orientata e quindi un coinvolgimento maggiore del mondo della formazione.

Rispetto a questi problemi quali servizi servono? Possono essere erogati dai centri per l’impiego?

È possibile distinguere tra funzioni amministrative e politiche attive e verificare, con pragmatismo, cosa i centri riescono realmente ad assicurare. Ci sono funzioni a basso apporto di professionalità, automatizzabili, e funzioni - come orientamento, accompagnamento, bilancio di competenze o promozione di tirocini - che richiedono competenze qualificate da formare e reclutare con un percorso di corso -concorso. Ma anche una rete di partenariati con altri soggetti.

L’età media elevata del personale, le sue competenze tradizionali, un’organizzazione del lavoro vecchia e contratti che non consentono al dipendente di uscire dall’ufficio e stare a contatto con gli operatori della domanda e dell’offerta sono limiti insormontabili. Se i profili professionali non vengono aggiornati, è inutile reclutare altro personale, spesso in strutture poco attrezzate o fatiscenti. Se nei centri per l’impiego vige il contratto degli enti locali, che non consente alcuna flessibilità di inquadramento, impiego e remunerazione delle risorse umane, nuove assunzioni sono inutili.

Dobbiamo riconoscere che per anni abbiamo finanziato con il Fondo sociale europeo o il Fondo per l’occupazione sistemi provinciali e modelli inefficienti. Uno dei risultati è la presenza di tante banche dati, che spesso non dialogano tra loro. Nell’era dei big data è assurdo vedere uffici pubblici in difficoltà sui dati anagrafici e sullo stato occupazionale dei propri utenti. Ancora oggi manca il fascicolo elettronico del lavoratore.

Il Governo ha emanato il decreto (n. 4 dell’11 gennaio 2018) che fissa per la prima volta nel mondo dei servizi per il lavoro i livelli essenziali delle prestazioni da erogare sia alle persone che cercano lavoro sia alle imprese. Ma quanto sono vincolanti? Naturalmente non è solo un problema di sanzioni. Anche la programmazione, la qualità degli obiettivi e la misurazione della performance sono rimaste in questo ambito sulla carta.

Si potrebbe, una volta tanto, utilizzando bene le risorse dell’Fse (Pon e Por), lanciare un piano di potenziamento coordinato dal centro, sanzionando (ma realmente) le amministrazioni che non assicureranno i servizi essenziali.

Rafforzare i centri per l’impiego significa realizzare concretamente un pezzo di riforma della Pa e questo richiede un impegno organizzativo e gestionale più faticoso e ostico di quello necessario per approvare un decreto o una legge.

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