Contenzioso

Accertamenti bancari, i prelievi non sono maggior reddito

di Mauro Pizzin

Il freno messo dalla Consulta alle presunzioni di maggior reddito sui prelevamenti da parte di lavoratori autonomi come i professionisti – basato su un principio di ragionevolezza – «dovrà essere fatto proprio dagli Uffici fiscali, con la conseguenza di riportare ordine nei comportamenti in sede di controllo», e il risultato dovrà essere quello «dell'applicazione di meccanismi certi ed univoci, in tutto il territorio, nel corso di accertamenti per indagini finanziarie».

Saranno questi, per la Fondazione studi dei consulenti del lavoro (parere n. 4 di ieri), gli effetti della sentenza 228/14, depositata lo scorso 6 ottobre, secondo cui i prelievi dal conto bancario da parte di professionisti e autonomi non possono essere automaticamente considerati in nero. È il risultato dell'illegittimità parziale dell'articolo 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del Dpr 600/73, dichiarata dalla Consulta nella parte in cui è stato parificato il trattamento riservato ai titolari di reddito di lavoro autonomo e di reddito d'impresa.

Si ricorda che la questione di incostituzionalità era stata sollevata dall'ordinanza 27/29/13 della Ctr Lazio, la quale aveva sottolineato l'irrazionalità della presunzione a favore del Fisco, che trasforma i prelievi bancari senza indicazione del beneficiario in compensi non dichiarati.

La sentenza 228 – si sottolinea nel parere – obbligherà l'agenzia delle Entrate a rivedere le proprie posizioni nell'ambito delle indagini finanziarie sui professionisti, «visto che i principi fissati dalla Corte di fatto cambiano il sistema probatorio sui prelevamenti da parte dei lavoratori autonomi», prelevamenti che a questo punto non vanno più considerati automaticamente fonti reddituali, con conseguente venir meno dell'inversione dell'onere della prova in materia di accertamento tributario ai fini dell'imposte sui redditi e dell'Iva (dall'Agenzia al professionista contribuente). Un problema «di non poco conto», secondo la Fondazione studi, per il professionista che periodicamente proceda a prelievi dal proprio conto corrente di quanto serve per il suo sostentamento familiare.

Nel parere si evidenzia anche la peculiarità del reddito di natura professionale, «completamente differente a quello d'impresa», in quanto fondato sul principio di cassa (e non di competenza), con la conseguenza che il sostentamento di costi non significa la produzione contestuale di compensi. In definitiva – chiariscono i consulenti - il costo non può rappresentare «un indice di capacità contributiva».

Nel dispositivo della sentenza la Corte costituzionale non lascia spazio a margini interpretativi, sottolineando che nel caso dei prelevamenti da parte dei liberi professionisti «la presunzione è lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell'ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito». «Meno arbitrarietà, più ragionevolezza e maggiore collaborazione con il contribuente»: questa per i consulenti del lavoro è la lezione della sentenza 228/14. Nè più, ne meno, di quanto stabilito nello Statuto dei contribuenti.

Il parere della Fondazione Studi Consulenti del lavoro

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