Contenzioso

Casse professionali: i contributi prescritti non possono più essere accreditati

di Silvano Imbriaci

Il tema della prescrizione dei contributi obbligatori alle Casse professionali (gli enti diprevidenza obbligatoria dei professionisti) negli ultimi anni ha dato vita a un notevole contenzioso, soprattutto in relazione all'applicazione della disciplina generale in materia di prescrizione contenuta nella legge 335/1995.

Le questioni più delicate emergono in occasione della richiesta, da parte dei professionisti iscritti alle Casse, di retrodatazione della data di iscrizione a fronte dell'esercizio di attività professionale rivendicato per un periodo antecedente, con conseguente esigenza di regolarizzazione dell'aspetto contributivo. La sentenza 21830/2014 della Cassazione (riguardante la vicenda di un iscritto alla Cassa nazionale dottori commercialisti) si pone nel solco dell'orientamento dominante, sotto due profili.
Il primo riguarda l'applicazione della normativa generale in materia di prescrizione contributiva (contenuta nella legge. 335/1995), in realtà data dalla Cassazione per presupposta; come già indicato chiaramente anche da Cassazione, sentenza 4050/2014, l'articolo 3 della legge 335/1995 (commi 9 e seguenti) ha inteso regolare l'intera materia della prescrizione dei crediti contributivi degli enti previdenziali, con conseguente abrogazione (articolo 15 delle preleggi), delle previgenti discipline differenziate. Per quanto riguarda i dottori commercialisti il principio è stato espressamente ribadito da Cassazione 9525/2002; n. 9408/2002; n. 330/2002 e n. 11140/2001. È fatta salva la speciale disciplina introdotta dalla nuova legge professionale (legge 247/2012) per quanto riguarda gli iscritti alla Cassa nazionale forense, all'articolo 66 (cfr., per utili indicazioni, Cassazione 18953/2014).


Il secondo tema, sul quale la Cassazione in commento spende qualche parola in più, riguarda invece l'effetto principale della prescrizione della contribuzione obbligatoria, ossia l’irricevibilità dei relativi versamenti, soprattutto per i periodi precedenti all'entrata in vigore della legge 335/1995, che al comma 9 dell'articolo 3, è bene precisarlo, ha chiaramente ribadito tale principio: «Le contribuzioni di previdenza ed assistenza sociale obbligatoria si prescrivono e non possono essere versate con il decorso dei termini di seguito indicati». Il divieto di versare la contribuzione prescritta infatti, in astratto, collide con il diritto dell'assicurato all’integrale copertura assicurativa a fronte di attività di lavoro effettivamente svolta (anche se in questo caso, trattandosi di lavoro “autonomo” non può essere fatto valere alcun automatismo), con ulteriori interrogativi che si pongono a fronte dell'inerzia da parte della Cassa nel porre in essere le attività volte al recupero della contribuzione non pagata.

Alla base della decisione della Cassazione sta la consapevolezza degli effetti pubblicistici dell'obbligazione contributiva, attesa la sua peculiare funzione di finanziamento dell'intero sistema previdenziale. Da qui la deroga ai principi codicistici che regolano la prescrizione ordinaria, quali la rinunziabilità della prescrizione maturata (articolo 2937 , Codice civile), la rilevabilità su eccezione della parte interessata (articolo 2938, Codice civile), l’irripetibilità dei pagamenti di debiti prescritti che siano stati spontaneamente effettuati (articolo 2940, Codice civile), il che porta ad affermare che la prescrizione di diritto privato ha un'efficacia solo preclusiva e non estintiva.

In materia di contribuzione previdenziale obbligatoria, invece, rispetto alla disciplina codicistica, vi è un espresso divieto di versare contribuzione una volta decorso il termine di prescrizione. Si produce quindi un effetto estintivo, assimilabile ad una vera e propria decadenza, che trasforma il pagamento comunque effettuato in un vero e proprio indebito. Del resto, il principio già era presente nell'ordinamento fin dall'articolo 55 del Rdl 1827/1935, secondo il quale non è ammessa la possibilità di effettuare versamenti, a regolarizzazione di contributi arretrati, dopo che, rispetto ai contributi stessi, sia intervenuta la prescrizione.

La ratio del divieto si coglie in molteplici aspetti: ragioni di ordine pubblico (si veda Cassazione 1703/1991), la necessità di evitare posizioni assicurative fittizie non collegate ad effettiva attività lavorativa, le esigenze di equilibrio finanziario degli enti previdenziali, elementi tutti questi che, di fatto, trovano compiuta conferma nel principio della indisponibilità negoziale della materia (articolo 2115, Codice civile).

Per quanto riguarda il caso di specie, la Cassazione ribadisce che il mancato versamento dei contributi obbligatori impedisce la costituzione in radice del rapporto previdenziale (e quindi la retrodatazione dell'iscrizione) e non consente la maturazione delle relative prestazioni (Cassazione 7602/2003). Sotto questo profilo non assume alcuna rilevanza nello spiegarsi degli effetti estintivi automatici, l'eventuale inerzia dell'ente preposto alla riscossione, in quanto il termine per il pagamento del credito contributivo inizia a decorrere in presenza dei presupposti di legge e, finché non interviene il pagamento o un atto interruttivo, matura indipendentemente dal comportamento delle parti del rapporto.

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