Contenzioso

Regole più chiare per i permessi sindacali

di Giampiero Falasca


La Corte di cassazione (sentenza 24393/2014) ha affermato di recente (ribadendo una pronuncia analoga di qualche mese prima) che l'azienda non può mettere in discussione i permessi sindacali richiesti dal dipendente, nemmeno se la carica sindacale da questo ricoperta non è prevista dallo statuto del sindacato.

La questione nasce da un problema interpretativo, perché una norma di legge (articolo 3 del Dlgs 564/1996) precisa che rientrano tra le cariche sindacali che danno diritto alla contribuzione figurativa solo quelle previste nello statuto delle organizzazioni sindacali richiedenti, a condizione che siano formalmente attribuite per svolgere funzioni rappresentative e dirigenziali a livello nazionale o locale. Secondo la Suprema corte, questa norma ha valore solo ai fini previdenziali, e quindi non è sufficiente a limitare l’autonomia del sindacato nell’individuazione delle cariche che danno diritto alla fruizione dei permessi.

Questa lettura ingenera molte perplessità, perché assegna al sindacato, di fatto, un potere molto ampio di autodeterminazione delle cariche che danno diritto ai permessi, mentre il vincolo allo statuto avrebbe consentito un approccio più rigoroso alla questione, senza comprimere alcun diritto. E pare alquanto formalistica la distinzione tra Statuto dei lavoratori e norma successiva, in quanto questa - proprio perché interviene dopo - non può non modificare anche il contenuto di quella precedente.

Secondo la Consulta, il compito di frenare gli abusi deve, invece, essere esercitato dal giudice di merito. L’esperienza quotidiana ci dice che il giudice non ha, e non può avere, gli strumenti adeguati per svolgere questo ruolo, e quindi l’affermazione rischia di tradursi in un semplice auspicio.

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