Contenzioso

La prova del danno subito spetta al dipendente

di Luigi Caiazza

In caso di infortunio sul lavoro, la richiesta del risarcimento del danno da parte del lavoratore deve essere sempre provata da quest'ultimo. Tale è il principio espresso dalla Cassazione nella sentenza 340/2015.

La Corte opera su quanto teorizzato, seppure con una decisione contraddittoria, dalla sentenza 26360/2014. Infatti con quella decisione da una parte veniva stabilito che nell'ipotesi di danno per mancata adozione delle misure di sicurezza prevista dall'articolo 2087 del codice civile ci si trova di fronte a una responsabilità di natura contrattuale. Di conseguenza la parte che subisce l'inadempimento non deve dimostrare la colpa dell'altra parte, perché ai sensi dell'articolo 1218 del codice civile è il debitore-datore di lavoro che deve provare che l'impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa o comunque il pregiudizio che colpisce la controparte derivano da causa a lui non imputabile.

Dall'altra implicitamente veniva accolta la tesi del datore di lavoro, secondo cui spetterebbe al lavoratore allegare e dimostrare il fatto materiale, nonché le regole che sarebbero state violate. Soltanto ove il lavoratore avesse fornito la prova di tali circostanze, sussisterebbe l'onere per il datore di lavoro di provare di aver adottato tutte le cautele necessarie a impedire il verificarsi del danno e che l'evento denunciato non sia ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi.

Con la sentenza 340/2015 la Corte salta ogni ulteriore considerazione, sposa decisamente quest'ultima tesi, e riconosce, senza equivoci, che il dipendente, che chieda al datore di lavoro il risarcimento del danno alla salute per la mancata adozione delle misure di sicurezza previste dall'articolo 2087 del codice civile, ha l'onere di indicare quali misure di sicurezza sono state omesse, stante che altrimenti si affermerebbe un principio di responsabilità oggettiva, in luogo di quella contrattuale, in contrasto con gli articoli 1218 e 2043 del codice civile, secondo cui basterebbe il verificarsi dell'evento dannoso a provare il mancato uso di detti mezzi.

Nella fattispecie il lavoratore aveva promosso l'azione legale contro il consorzio datore di lavoro tesa ad ottenere il riconoscimento del danno biologico e morale da malattia professionale derivata dalla guida di autobus con motori diesel e dal lavoro in officina. Il dipendente non aveva allegato, però, l'inadempimento del datore di lavoro ad alcun obbligo di sicurezza gravante su di esso ai sensi dell'articolo 2087 del codice civile, mentre le deposizioni dei testi erano risultate troppo generiche e la stessa consulenza tecnica d'ufficio si era basata solo su notizie fornite dal lavoratore.

La Corte di Appello, riformando la sentenza di primo grado, aveva ritenuto di non potersi riconoscere la responsabilità civile, contrattuale o extracontrattuale, solo sull'elemento oggettivo del danno, né risultava quale mezzo di protezione avesse trascurato il datore di lavoro, il quale, tra l'altro, in fase istruttoria, aveva dimostrato di aver sottoposto a periodica revisione gli autobus, idonei al funzionamento. Né la breve durata del lavoro in officina rendevano quella prestazione significativa rispetto all'accertata modesta ipoacusia accusata.

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