Contenzioso

Contratti a termine, il pubblico si avvicina al privato

Arriva il “danno punitivo” per i contratti a termine nella pubblica amministrazione? Forse no, ma la sentenza 1260/2015 della Corte di cassazione che ha fissato i paletti da applicare in caso di illegittimità del lavoro a termine nel pubblico impiego potrà cambiare in profondità la sorte del contenzioso in materia.

La questione si atteggia in maniera particolare per i dipendenti pubblici per un motivo molto semplice: questi, al contrario dei lavoratori assunti a termine nel settore privato, non possono beneficiare della “conversione” del rapporto a tempo indeterminato, in quanto nella Pubblica amministrazione si entra solo mediante concorso. Resta loro, quindi, solo il diritto a ottenere un risarcimento del danno.

Il Testo unico del pubblico impiego, però, non offre indicazioni su come questa danno va quantificato (al contrario, anche qui, del lavoro privato, dove spetta l'indennità prevista dal collegato lavoro). In carenza di indicazioni specifiche, molti giudici chiedono che il lavoratore dia prova concreta del danno, ma questa prova è talmente difficile da offrire, che si arriva a un paradosso: il dipendente pubblico, molto spesso, vince la causa principale, dimostrando che il rapporto a termine era illegittimo, ma non ottiene alcun risarcimento.

Con la sentenza della Cassazione - ispirata alla sentenza C 50/2013 della Corte di giustizia europea - questa situazione è destinata a cambiare: si adotterà una nozione di “danno comunitario”, che prescinderà da oneri probatori specifici ma spetterà ogni volta che sussiste una violazione. Questo danno, secondo la Corte, andrà calcolato da un limite di 5 sino a un massimo di 12 mesi. Una soluzione di buon senso, che evita di lasciare senza tutela i lavoratori ma contemporaneamente impedisce di aprire “voragini” nei conti pubblici.

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