Contenzioso

Indennità sostitutiva, ritardi di pagamento senza effetti retributivi

di Alessandro Limatola e Rossana Cassarà

Con la sentenza 22410/2015 la Corte di cassazione, pronunciandosi su un caso di licenziamento illegittimo con tutela reale ante Fornero, ribadisce il principio di diritto cristallizzato da due pronunce delle Sezioni Unite dell'agosto 2014 per cui il lavoratore che abbia ottenuto giudizialmente la reintegrazione nel posto di lavoro e abbia optato per l'indennità sostitutiva di 15 mensilità prevista dall'articolo 18, quinto comma, della Legge 300/70 non matura l'ulteriore diritto alle retribuzioni fino alla data dell'effettivo pagamento.

Il giudice del lavoro aveva accertato l'illegittimità del licenziamento per giusta causa irrogato ad un dipendente comunale per presunta insussistenza della malattia dedotta a motivo della sua prolungata assenza e aveva condannato il Comune alla reintegrazione del lavoratore e al pagamento delle retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegra.

La Corte d'appello confermava la sentenza di primo grado limitando, tuttavia, il risarcimento del danno alle retribuzioni maturate fino alla data in cui il lavoratore aveva comunicato al Comune la scelta di optare per l'indennità in luogo della reintegrazione nel posto di lavoro.

La Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul punto, si è espressa in assoluta conformità con l'orientamento tracciato dalle Sezioni Unite con le sentenze 18353/14 e 18354/14, ribadendo il principio di diritto secondo cui in caso di licenziamento illegittimo, ove il lavoratore nel regime della cosiddetta tutela reale opti per l'indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista dall'articolo 18, quinto comma, della Legge 300/70, il rapporto di lavoro, con la comunicazione al datore di lavoro di tale scelta, si estingue senza che debba intervenire il pagamento dell'indennità stessa e senza che permanga – per il periodo successivo in cui la prestazione lavorativa non è dovuta dal lavoratore, né può essere pretesa dal datore di lavoro – alcun obbligo retributivo.

Quindi, il lavoratore che opti per le 15 mensilità avrà diritto, a titolo risarcitorio, alle retribuzioni maturate dalla data di licenziamento a quella in cui ha dato comunicazione al datore di lavoro della propria scelta. L'eventuale ritardato o mancato pagamento dell'indennità non farà rivivere il diritto alle retribuzioni nel frattempo maturate, essendo ormai definitivamente cessato il rapporto di lavoro, ma sarà soggetto alla disciplina dell'inadempimento delle obbligazioni pecuniarie del datore di lavoro con applicazione dell'articolo 429, terzo comma, del codice di procedura civile.

L'intervento chiarificatore delle Sezioni Unite si era reso necessario per dirimere le contrastanti pronunce sul punto , che avevano dato vita a due contrapposti orientamenti giurisprudenziali. Uno (maggioritario) riteneva che l'obbligo retributivo del datore di lavoro potesse ritenersi estinto soltanto con l'effettivo pagamento dell'indennità sostitutiva della reintegrazione e che tale interpretazione meglio rispondesse all'esigenza di dissuadere il datore dal ritardare ulteriormente l'adempimento (Cass. Civ., sez. lav. n. 6342/2009; n. 6735/2010; n. 24199/2014; n. 20420/2012). L'altro (minoritario) riteneva che l'esercizio del diritto di opzione comportasse la risoluzione definitiva del rapporto lavorativo a quella data e che, quindi, il mancato pagamento dell'indennità non potesse essere risarcito secondo le regole dell'articolo 18, quarto comma, della Legge 300/70 dovendo, al contrario, trovare applicazione i principi civilistici in materia di inadempimento delle obbligazioni pecuniarie (Cass. Civ. sez. lav. n. 3775/2009; n. 16228/2012; n. 15869/2012; n. 5950/2013).

Le Sezioni Unite hanno dato continuità all'orientamento minoritario, attribuendo carattere dirimente, ai fini della cessazione definitiva del rapporto di lavoro e del risarcimento del danno ad esso inerente, al momento dell'esercizio dell'opzione.
Il problema interpretativo affrontato dai giudici di legittimità si pone soltanto per i licenziamenti intimati in data antecedente all'entrata in vigore della Legge 92/12 e con giudizi pendenti, poiché il testo attuale dell'articolo 18, terzo comma, della Legge 300/70 dispone espressamente che la richiesta dell'indennità sostitutiva della reintegrazione determina la risoluzione del rapporto di lavoro.

Di rilievo è anche la seconda parte della sentenza in commento, laddove la Corte sottolinea che la malattia del lavoratore costituisce situazione diversa dalla sua inidoneità al lavoro affermando che, pur essendo entrambe cause di impossibilità della prestazione lavorativa, esse hanno infatti natura e disciplina diverse, per essere la prima di carattere temporaneo e implicante la totale impossibilità della prestazione laddove la seconda ha carattere permanente o quanto meno durata indeterminata o indeterminabile e non implica necessariamente l'impossibilità totale della prestazione.

Su tale presupposto, la Corte ha rigettato il ricorso del Comune ritenendo insufficiente, ai fini della prova dell'insussistenza della malattia del lavoratore, la certificazione della Commissione medica dell'Asl che lo giudicava “idoneo al lavoro”, affermando che ciò non esclude di per sé la sussistenza dell'inabilità temporanea certificata dal medico curante, né è in concreto incompatibile con la diagnosi comunicata di stato ansioso depressivo.

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