Contenzioso

Esercizio abusivo della professione di consulente del lavoro, le ultime sentenze della Cassazione

di Massimo Braghin

La Fondazione studi dei consulenti del lavoro, attraverso il parere numero 6 del 30 maggio 2016, dà risalto ad alcune recenti sentenze in materia di esercizio abusivo della professione di consulente del lavoro.
Come già affermato dalla Cassazione, l'esercizio abusivo della professione di consulente del lavoro si configura ogni qualvolta un soggetto curi la gestione dei servizi e degli adempimenti in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale in mancanza del titolo di consulente del lavoro e dell'iscrizione al relativo albo professionale. La mera qualifica di socio di una società partecipata da un'associazione di categoria non rileva affatto per l'abilitazione in quanto la stessa legge 12/1979, all'articolo 1, comma quarto, prevede che tali compiti vengano assolti direttamente dai suoi dipendenti senza possibilità di delega a terzi.

La legge 12/1979 istitutiva dell'Albo dei consulenti del lavoro attribuisce ai propri iscritti e agli appartenenti ad altri albi e/o associazioni in essa menzionati, la riserva di legge in materia di esercizio dell'attività professionale di consulenza del lavoro. Sull'attività professionale vigila l'Ordine dei consulenti del lavoro che, come da sentenza del tribunale di Pesaro del 25 novembre 2015, impone ai propri iscritti l'osservanza delle norme previste dalla legge 12/1979 e dal codice deontologico di categoria, contrastando qualsiasi attività svolta dall'iscritto all'Albo dei consulenti del lavoro che potrebbe consentire con la sua condotta la realizzazione dell'esercizio abusivo dell'attività professionale che la legge riserva invece ai soli consulenti del lavoro.

A protezione dell'attività professionale riservata dei consulenti del lavoro e per contrastare l'esercizio abusivo della professione già si era schierato il Consiglio di Stato (103/2015) contro i centri di elaborazione dati, meglio conosciuti come Ced, affermando che il solo svolgimento di operazioni di mero calcolo e stampa dei cedolini possa avvenire dai citati Ced purché “assistiti” da uno o più soggetti iscritti agli albi, mentre se l'attività presuppone anche lo svolgimento di ulteriori attività di carattere intellettuale che implicano conoscenze lavoristico-previdenziali, prevale in modo imperativo la riserva di cui all'articolo 1, legge 12/1979, con il divieto dello svolgimento dell'attività da parte di soggetti non iscritti all'Albo professionale dei consulenti del lavoro.

Anche nel caso in cui sia un'impresa artigiana ad affidare gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale ad un'associazione di categoria, secondo la Cassazione (sentenza 9725/2013) può configurarsi una ipotesi di reato qualora a tali adempimenti provveda un soggetto non iscritto all'albo professionale, nella veste di socio accomandatario di una società in cui figuri come socio accomandante la medesima associazione.

Sempre la Cassazione, con sentenza 18488/2012, ha ribadito che il reato di esercizio abusivo della professione è estendibile anche alla figura del praticante laddove lo stesso predisponga le buste paga e curi gli aspetti di natura previdenziale e fiscale di un datore di lavoro in quanto trattasi di attività non destinata esclusivamente alla propria formazione in quanto egli stesso può svolgere esclusivamente compiti di natura esecutiva e non di individuazione, interpretazione e applicazione di una normativa complessa e di difficoltoso coordinamento.

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