Contenzioso

Ristrutturazione aziendale, lecito il licenziamento del dirigente

di Giuseppe Bulgarini d'Elci

È legittimo il licenziamento irrogato nei confronti del dirigente di una società in nome collettivo per effetto di una riorganizzazione societaria indotta dall'ingresso in azienda, in qualità di socio, della figlia dell'amministratore unico, alla quale sono state affidate le relative funzioni. Ad avviso della Corte di cassazione in tale evento non si riscontrano gli estremi di un avvicendamento discriminatorio, né contrario ai canoni di correttezza e buona fede, in quanto le funzioni del dirigente non erano state riassegnate ad un altro dipendente in azienda, bensì affidate ad un socio imprenditore, con conseguente risparmio in termini di costi.

Sono queste le conclusioni raggiunte dalla Corte con la sentenza n. 12823, depositata il 21 giugno scorso, che ha confermato il giudizio reso dalla Corte d'appello di Torino circa la validità del licenziamento di un dirigente quale effetto della soppressione del ruolo di responsabile vendite dal medesimo ricoperto in seno alla società e di riassegnazione delle relative attività ad una delle due figlie dell'amministratore, entrata in azienda in qualità di socio. Tra le ragioni dirette a sorreggere il licenziamento, anch'essa valorizzata dalla Cassazione, era stato indicato che la riorganizzazione societaria si accompagnava al calo di fatturato delle vendite, che aveva reso necessario addivenire ad una riduzione dei costi.

La difesa del dirigente era essenzialmente incentrata sul fatto che la figlia dell'amministratore non era stata investita dei poteri di amministrazione e di gestione della società, ma unicamente incaricata di sostituire l'ex direttore vendite nelle sue funzioni e responsabilità. La Corte ha rigettato questa prospettiva, evidenziando che nelle società in nome collettivo la rappresentanza sociale, salvo diverse pattuizioni, spetta disgiuntamente a ciascuno dei soci, senza che, all'uopo, sia necessaria una formale attribuzione di poteri gestori o rappresentativi.

La Cassazione rimarca che il licenziamento del dirigente, diversamente da quanto previsto per i profili non apicali, non richiede l'esistenza di un giustificato motivo oggettivo, ma è consentito in presenza di una ristrutturazione aziendale che sia il frutto di scelte imprenditoriali non pretestuose e non arbitrarie. Sotto questo profilo, la Corte riproduce il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la riorganizzazione aziendale alla base del provvedimento espulsivo non deve comportare una radicale impossibilità di continuazione del rapporto di lavoro, né deve integrare una situazione di crisi particolarmente onerosa, essendo sufficiente che siano stati rispettati i canoni di correttezza e buona fede nella scelta datoriale di disporre il licenziamento.
Sulla scorta di queste considerazioni, la Cassazione ha confermato la validità del licenziamento irrogato al dirigente per effetto dell'avvicendamento societario da cui era derivata, anche in funzione di un contenimento dei costi aziendali, la decisione di assegnare alla figlia dell'amministratore, in qualità di socia dell'impresa, le funzioni connesse al soppresso ruolo di responsabile delle vendite.

La sentenza 12823/16 della Corte di cassazione

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