Contenzioso

Licenziamento «intempestivo» invalido ma senza reintegra

di Giampiero Falasca

La tempestività del licenziamento è un elemento costitutivo dell’atto di recesso e, come tale, deve essere verificato d’ufficio dal Giudice, senza necessità che sia svolta una domanda specifica al riguardo. Pertanto, non è viziata dalla violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato la sentenza che invalida un licenziamento per violazione del principio di tempestività. Tale violazione, se accertata, non dà tuttavia diritto alla reintegrazione sul posto di lavoro; considerato che si tratta di un vizio avente natura meramente formale, si applica la regola (prevista dall’articolo 18 della legge n. 300/1970, come modificato dalla legge Fornero, ancora applicabile ai lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015) che dà diritto solo a un risarcimento del danno, in una misura compresa tra le 6 e le 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Con queste conclusioni la Corte di Cassazione (sentenza n. 17371/2016, depositata il 26 agosto scorso) ha confermato la sentenza con cui la Corte d’Appello di Salerno aveva invalidato un licenziamento per mancanza di tempestività, riconoscendo al lavoratore una somma a titolo risarcitorio.

Un dipendente si era assentato dal lavoro senza un valido motivo per un periodo molto lungo (più di due mesi). Il datore di lavoro, un istituto bancario, aveva avviato la procedura disciplinare e adottato il successivo licenziamento con notevole ritardo, solo dopo una segnalazione anonima; tale ritardo, secondo i giudici di merito, non era tollerabile, in quanto la verifica dell’illecito disciplinare era estremamente semplice e, come tale, non giustificava la dilatazione dei tempi del procedimento. Il lavoratore non lamentava in maniera specifica la mancanza di tempestività del provvedimento ma faceva discendere dalla dilatazione dei tempi del procedimento l’implicita rinuncia all’esercizio del potere disciplinare.

La Corte d’Appello accertava invece la sussistenza del difetto di tempestività. Ma la Corte di Cassazione considera rilevabile d’ufficio, da parte del Giudice, il difetto di tempestività del licenziamento.

Quanto alle conseguenze sanzionatorie del vizio, secondo il lavoratore, la mancanza di tempestività doveva essere considerata come una implicita rinuncia all’esercizio del potere di recesso e, quindi, avrebbe dovuto comportare l’applicazione del regime sanzionatorio più pesante, tra quelli previsti dalla legge.

La sentenza della Corte respinge però questo ragionamento, escludendo che la mancanza di tempestività debba essere punita con la reintegrazione sul posto di lavoro (più il risarcimento nella misura massima di 12 mensilità). E accerta la natura meramente procedurale del vizio, in quanto il datore di lavoro, una volta venuto a conoscenza dell’illecito, si è attivato - seppure tardivamente, perché avrebbe dovuto e potuto il fatto conoscere anche prima - senza incertezza per avviare e concludere rapidamente il procedimento disciplinare. Questa condotta dimostra che il datore di lavoro non aveva affatto deciso di rinunciare all’esercizio del potere disciplinare.

Cassazione civile, sentenza 17371 del 26 agosto 2016

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