Contenzioso

Il professionista non può dedurre dal reddito il contributo integrativo

di Salvatore Servidio

Con sentenza 14 ottobre 2016, n. 20784, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Fisco che chiamava in causa un professionista, in quanto la CTR, dandogli ragione, riteneva che la somma dei contributi integrativi dovuti alla Cassa EPAP (Ente di previdenza ed assistenza pluricategoriale), che il contribuente avrebbe dovuto applicare ai suoi clienti nel corso degli anni, era un costo deducibile per il professionista.

Il D.Lgs. n. 103/1996, in tema di tutela previdenziale obbligatoria dei soggetti che svolgono la libera professione, stabilisce all'art. 8, comma 3, che il contributo integrativo a carico di coloro che si avvalgono delle attività professionali degli iscritti è fissato nella misura del 2% del fatturato lordo ed è riscosso direttamente dall'iscritto medesimo all'atto del pagamento previa evidenziazione del relativo importo sulla fattura.

La Suprema Corte ricorda un analogo contributo integrativo, cioè quello previsto dall'art. 11 della legge n. 21/1986, da versare alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli iscritti all'albo dei dottori commercialisti, che con la pronuncia 13465 del 13.6.2014 (ma v. anche Cass. 15.6.2007, n. 14019), ha affermato che tale contributo non costituisce un costo deducibile, trattandosi di onere che non grava sul contribuente professionista ma è posto dalla legge a carico del cliente dello stesso.

Pertanto, poiché il relativo costo è posto a carico del cliente del professionista (ex art. 10, comma 1, lett. e), D.P.R. n. 917/1986), ne deriva che esso, siccome non sopportato dal contribuente, non costituisce una spesa deducibile dal reddito (così Risoluzione Agenzia entrate 18 maggio 2006, n. 69).

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