Contenzioso

Licenziamenti collettivi, comunicazione ai sindacati obbligatoria anche se l’azienda chiude

di Mauro Pizzin


Anche nel caso in cui un'azienda stia chiudendo, sono nulli i licenziamenti collettivi effettuati dalla stessa se non è stata data entro sette giorni dai recessi la comunicazione ai sindacati di categoria della graduatoria contenente l'indicazione dei punteggi dei licenziati secondo quanto previsto dall'articolo 4, comma 9, della legge 223/1991 dopo le modifiche apportate dalla legge Fornero (92/2012).

Lo ha chiarito la Cassazione con l'ordinanza 27206, depositata il 28 dicembre 2016, in cui i giudici di legittimità si sono espressi sul ricorso di un'azienda in fase di liquidazione, chiamata in causa da un dipendente a cui era stato comunicato il recesso, il quale aveva contestato il mancato rispetto della procedura prevista in materia di licenziamenti collettivi. La società era stata condannata in primo grado dal Tribunale di Benevento al risarcimento del danno pari a dodici mensilità dell'ultima retribuzione, decisione confermata anche dalla Corte d'appello di Napoli. Quest'ultima, dopo aver sottolineato che la comunicazione aziendale ai sindacati era stata effettuata ben due mesi dopo la scadenza del termine previsto dalla legge 223/1991, aveva ritenuto irrilevante la circostanza che il lavoratore fosse stato in grado di conoscere il criterio di scelta attraverso la comunicazione dell'avvio della procedura. Per la Corte d'appello, inoltre, era insostenibile la pretesa della società, secondo cui, in presenza di un licenziamento collettivo per cessazione dell'attività, essendoci l'azzeramento dell'intero organico, non c'era alcuna esigenza di comparazione fra i lavoratori, ragion per cui il ritardo nell'invio della comunicazione non avrebbe ma potuto risultare pregiudizievole.

Una valutazione, quest'ultima, fatta propria anche dai giudici di legittimità. Sul punto la Cassazione ricorda anzitutto come l'articolo 24, comma 22, della legge 223/1991 ribadisca che la procedura per la riduzione del personale si applica anche quando le imprese intendano cessare l'attività. Richiamando quanto già affermato con la sentenza 14416/2000, la Corte sottolinea anche che i licenziamenti collettivi conseguenti alla chiusura dell'insediamento produttivo sono soggetti alla gran parte delle norme previste in materia di procedura per la dichiarazione di mobilità, da cui la necessità del controllo “sindacale e pubblico” dell'operazione imprenditoriale. Ragion per cui – proseguono i giudici – l'unica dispensa del datore di lavoro, nell'ipotesi di cessazione dell'attività, è quella di inserire nella comunicazione i motivi del mancato ricorso ad altre forme occupazionali. Nel contempo – conclude la Cassazione – in questi casi da parte del giudice non può essere disposta la reintegrazione nel posto di lavoro dei dipendenti, dovendo limitarsi ad accogliere la domanda di risarcimento del danno.

L'ordinanza 27206/16 della Corte di cassazione

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©